il popolodelblues

Interviste

Perigeo: “Una sola volta? Chissà”

11 luglio 2019 by Michele Manzotti in Interviste

Abbiamo incontrato il contrabbassista Giovanni Tommaso nel corso delle prove per la reunion del Perigeo, il gruppo che negli anni ’70 seppe unire i linguaggi jazz e rock. L’appuntamento con il concerto è martedì 23 luglio in Piazza Ss.Annunziata a Firenze nell’ambito del festival Musart. Con Tommaso saranno Bruno Biriaco alla batteria, Tony Sidney alla chitarra, Claudio Fasoli al sax, e unico componente non originario, Claudio Filippini al pianoforte. Info www.musartfestival.it

Volevamo conoscere il significato della parola reunion per il Perigeo. E’ stata la voglia di vedersi fra amici o l’intenzione di affrontare nuovamente un percorso musicale?

“E’ un fatto più legato al primo caso. Alcuni di noi si sono rivisti spesso, altri meno, però ci siamo sentiti. Tutto ciò grazie a una consolidata stima, amicizia e affetto. Però non mi è mai balenata l’idea di riformare il gruppo per un percorso artistico nuovo, perché io come tutti gli altri siamo andati in direzioni musicali diverse. Quindi l’idea di riunirci occasionalmente (e ogni volta ne avevamo parlato nei nostri incontri) non l’abbiamo mai concretizzata. Di offerte ne abbiamo avute tante, ma senza un fondamento di serietà o affidabilità. Non mi metto a riunire il gruppo se non ci sono le spalle larghe che vogliono dire serietà e mezzi, al di là del compenso che lascia il tempo che trova. Adesso è arrivata questa offerta da Claudio Bertini, che avevamo già conosciuto in occasione di un concerto organizzato da lui negli anni ’70. Poi lui ha sviluppato una fama di persona seria e quindi abbiamo detto ora o mai più. Anche perché gli anni passano. Così è nata l’idea di fare una sola serata, un “one shot”. Quindi facciamo una reunion, ce la mettiamo tutta, stiamo provando, ci siamo scambiati la musica e tutti abbiamo fatto il compito a casa. Ci siamo rivisti maturando la possibilità di ritrovarci al livello che avevamo lasciato (noi venivamo da cinque anni di attività intensa con un affiatamento pauroso) che è il punto più difficile. Però musicalmente ci siamo molto vicini e quindi alla fine del concerto il 23 luglio, Round Midnight, i ragazzi mi chiederanno: che facciamo? L’anno prossimo si farà un’altra piccola tournée? Ma lo dirò alla fine del concerto. Lo dobbiamo ai nostri fan. Se va bene perché no? Se no sarà stato bello esserci incontrati. Anche a livello affettivo qualche effetto buono lo avrà, ma lo scatto avverrà se la musica avrà i requisiti che auspico”.

Abbiamo visto che manca un componente originario, Franco D’Andrea. Oggi il livello del pianisti jazz italiani è eccellente: come mai la scelta è caduta su Claudio Filippini?

“La decisione è stata facilissima per due motivi: lui è stato il pianista titolare, da quando l’ho formato, del progetto Apogeo che è stata una bellissima avventura durata due anni e mezzo: Ogni tanto anche in questo caso facciamo una reunion (lo faremo anche questa estate al festival di Sabaudia) e quindi ho un feeling con lui dato che ha suonato con me tante volte. Quando io abitavo in California inoltre l’ho chiamato per un tour di sette giorni senza che avessimo mai suonato insieme. Lo conoscevo solo discograficamente, però abbiamo provato ed è andata benissimo, Poi per i miei 50 anni di carriera nel 2008 l’Auditorium di Roma ha organizzato una festa in cui sono passati tutti i gruppi della mia vita; dal quartetto di Lucca in poi: e c’era anche Apogeo. L’altra ragione riguarda un altra reunion del Perigeo che si tenne in quell’anno. Anche in quel caso era un One Shot e a Firenze, in un festival che ora non esiste più quello della creatività. La pubblicità fu fatta quasi con il passaparola, nei manifesti non c’era traccia. La vollero fare lo stesso, anche se in ritardo rispetto alla programmazione, e noi abbiamo acconsentito”.

Franco D’Andrea c’era in quel caso?

“No, non era con noi, c’era già Filippini. Ma D’Andrea venne all’Auditorium a Roma perché ci voleva essere in tutti i modi. L’amicizia è cresciuta con gli anni, specialmente tra me e lui e io mesi fa ci siamo sentiti e poi visti a Milano dove abbiamo preso qualcosa insieme. In quell’occasione mi ha spiegato le motivazioni, così condivisibili perché non sono di carattere musicale o artistico, ma di carattere psicologico. Ormai lui suona solo il pianoforte, una scelta stilistica rispettabile e a malincuore non sarà con noi. Io mi rendo conto che è una perdita incolmabile perché per me Franco è il più grande pianista italiano. Però nell’avventura Perigeo Claudio si è calato con l’atteggiamento di quello che cerca di coprire tutto lo spettro pianistico e delle tastiere. Quindi forse non ne sentiremo molto la mancanza se non in certi passaggi acustici dove Franco è inarrivabile”.

Ha parlato di cinque anni molto intensi, c’è un album o un momento che ricordi con particolare affetto?

“Direi di non di ravvisare un album simbolico. Per rispondere liberamente, il disco di esordio è sempre il più difficile perché dal niente bisogna creare una musica che abbia una coerenza stilistica e una forza musicale da spiegarsi e da dare all’ascoltatore l’indirizzo dove vuole andare. Gli altri rappresentano una maturazione e un’evoluzione che usano (nel senso buono del termine) risultati già consolidati. Però sono stati ampliati, soprattutto la parte elettronica si è molto evoluta. Sono attaccato a tutti gli album, certo a qualche brano incluso nei vari dischi sono particolarmente legato. Come Abbiamo tutti un blues da piangere fatto di tre accordi e una cellula tematica molto semplice con una caratteristica molto particolare. E poi brani meno conosciuti come Torre del Lago che ho dedicato a Puccini essendo di Lucca. Quello che mi inorgoglisce è che la nostra musica ci ha messo un po’ di tempo a essere accettata presso alcuni giornalisti ortodossi di jazz, però alla lunga si sono tutti ricreduti perché la nostra musica ha una componente forte jazzistica come gli assoli ma ha aperture in brani con uno uno stile che non esiste sulla carta. c’è tanto respiro con armonie tradizionali e contemporanee. E inoltre la combinazione di elettronica e acustica. Ecco, questi tre elementi hanno caratterizzato la nostra musica”.

Voi siete stati contemporanei di un gruppo che si muoveva su territori comuni, tanto da fare un tour insieme, i Weather Report. come erano i rapporti con loro?

“Parlo soprattutto di Joe Zawinul: dopo tanti anni ci siamo incontrati nuovamente e si comportò come un vecchio amico. Lui mi era sempre stato simpatico e lo avevo invitato alle jazz clinics di Umbria Jazz: gli organizzai una master class di una settimana sula computer music e l’elettronica. Abbiamo anche scoperto passioni in comune come pugilato e calcio, aspetti che cementano un’amicizia. Ma all’epoca lui, dopo la prima serata del tour, iniziò a mostrare insofferenza. La mattina dopo eravamo in aereo insieme in un volo che ci avrebbe portato da Stoccolma ad Amsterdam. Scoprii dopo che non era una coincidenza: il manager ci aveva messo vicini di posto. Lui mi disse: vedi Giovanni mettiti nei miei panni, voi entrate, fate la prima parte, avete successo, suonate in un fiume in cui noi navighiamo. Voi contribuite a offuscare l’effetto che fa quando entriamo da soli. Oggi non dovreste suonare. E  aggiunse alla fine: Nothing personal. E allora io, che essendo lucchese qualcosa di tagliente l’ho anche io, risposi: questa tournée è stata combinata dal nostro manager mentre noi suonavamo al Ronnie Scott’s insieme a un promoter di Amburgo dove suoneremo dopodomani. Il promoter voleva noi, quando gli ho presentato il nostro manager (Checco Sanavio, un simpatico furbacchione) a Londra, però gli propose in abbinamento Perigeo e Weather Report con cui stava trattando per fare qualche concerto. Quindi abbiamo un contratto scritto e firmato e vogliamo rispettarlo suonando in tutte le serate del tour, compresa stasera. Nothing personal. Questo andò avanti tutte i giorni, fino a un concerto all’Olympia di Parigi e Zawinul molto astutamente mosse tutta una serie di pedine e fece in modo di sfruttare una regola inderogabile del teatro: l’intervallo tra il primo e il secondo tempo non doveva superare i 15 minuti, ma loro ne avevano bisogno di 20 per montare il loro set dopo che aver smontato il nostro. E così ci hanno ghigliottinato”.

Michele Manzotti

Foto concesse da ufficio stampa Musart

Tagged , , ,

Related Posts