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Recensioni

Martin Barre’s Jethro Tull Band, Porretta Prog Festival, Rufus Thomas Park, Porretta Terme, 6 agosto 2019

8 agosto 2019 by Michele Manzotti in Concerti, Recensioni

www.martinbarre.com

foto (c) Alessandro Fagioli

Una premessa va fatta: come marchio e come testata Il popolo del Blues è strettamente legato alla nascita (grazie alla figura di Ernesto de Pascale) e allo sviluppo del Porretta Soul Festival. Una manifestazione che si lega alla città che a sua volta è legata in modo molto forte alla rassegna che ha portato il nome di Porretta Terme in Europa e Oltreoceano. Quindi sottolineiamo con piacere il fatto che sia nato un nuovo festival musicale nella località appenninica tra Bologna e Pistoia. Ci sono vari elementi da evidenziare: un’amministrazione comunale che ha supportato l’iniziativa, un sentiero tracciato da Graziano Uliani (direttore artistico del Soul festival) che ha fatto di Porretta un brand importante e spendibile tra tutti gli appassionati di musica e infine la serietà nella programmazione che ha portato più spettatori sugli spalti del Rufus Thomas Park di quanto previsto con conseguente soddisfazione della direzione artistica e dell’indotto cittadino. I nomi erano di tutto rispetto: gli attuali Soft Machine, i Caravan e Martin Barre che per quasi mezzo secolo ha legato il suo nome ai Jethro Tull e che ha caratterizzato la serata finale. Un concerto inaugurato dagli stessi componenti della direzione artistica (Bibi Bernardi, Marco Giorgio Cespugli, Marco Coppi, Gianni Landroni), riuniti in una band per affiancare un personaggio singolare come Stefano Testa. Romano di nascita, porrettano per scelta, Testa ha legato il suo nome all’età d’oro del prog italiano con l’album Una vita, una balena bianca e altre cose del 1977 dedicato alla figura di Cesare Pavese. Una parte del disco (Testa ne ha poi incisi altri a partire dal 2012) è stato riproposto in concerto insieme ad altri brani. E’ stata un’operazione meritoria vista la difficoltà di ascoltare abitualmente questo repertorio. L’esecuzione è stata ben curata tanto da riportarci in atmosfere ormai piuttosto lontane ma che hanno dato grande dignità a uno spaccato del movimento musicale italiano, specialmente all’estero.

E’ stata poi la volta della star della serata, Martin Barre. Colui che con la sua chitarra è stato l’alter ego di Ian Anderson nei Jethro Tull a partire dal 1969 fino a qualche anno fa quando le due carriere si sono separate. Al leader è molto più facile abbinare il nome Jethro Tull, lo è meno per Barre anche se è autorizzato a farlo. Eppure in un confronto a distanza e prendendo come pietra di paragone il concerto dei Ian Anderson’s Jethro Tull recensito lo scorso anno, possiamo tranquillamente affermare che non solo il chitarrista ha dimostrato di essere in splendida forma, ma che a conti fatti lo spettacolo ha divertito gli spettatori e fatto felici i fan dei Jethro Tull. Al mestiere si aggiunge entusiasmo e voglia di divertirsi da parte di una band compatta e con ottimi elementi. Il batterista Darby Todd segue la lezione di Clive Bunker, ma ha personalità propria, così come Alan Thomson al basso che sa leggere bene sia il blues e il tardo beat delle origini sia quelli prog e folk degli anni successivi. Infine quello che aveva il compito più ingrato: Dan Crisp alla voce (e alla chitarra elettrica) qualche volta imita lo stile andersoniano, ma più per rispetto del brano e di come si è posto verso il pubblico nei vari anni, che per emulazione. Barre ha presentato il repertorio dei Jethro Tull in una veste diversa pur rimanendo fedele al ricordo dell’originale. Non poteva essere altrimenti senza flauto e tastiere, ma l’operazione ha dato freschezza a ogni singolo brano.

La scelta del repertorio è stata felice. C’erano i classici del gruppo fissi nei concerti dei Jethro Tull (My Sunday Feeling, Nothing is Easy, A New Day Yesterday, Aqualung), pezzi importanti ma meno presenti nelle scalette (Songs From The Wood, Heavy Horses, Hunting Girl) e brani recuperati da un cassetto tanto fornito quanto prezioso. Ricordiamo Back To The Family da Stand Up, To Cry You a Song e Teacher da Benefit, Hymn 43 da Aqualung, Warchild e Bungle in The Jungle (quest’ultimo singolo di successo negli Stati Uniti nel 1974) da Warchild, la conclusiva Jump Start da Crest of a Knave del 1987. Barre appare rilassato e con voglia di fare spettacolo a suo modo con brevi gag con i colleghi e con momenti in cui scende dal palco a suonare in mezzo al pubblico. Locomotive Breath, proposta come bis, rappresenta al meglio quel rock essenziale che è stata la spina dorsale delle pagine scritte da Ian Anderson in oltre 50 anni, alternandosi con la verve acustica e folk del leader. Un rock che ha fatto contenti tutti, ben consapevoli che non erano i Jethro Tull sul palco, grazie allo spirito di gruppo e al rispetto dei brani tenuti a un considerevole livello anche con queste sonorità. Tanto che Barre può continuare  a proporre a testa alta i brani da lui suonati per tanto tempo.

Michele Manzotti

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