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Interviste

Marco Della Fonte: “Quante storie dietro gli artisti Soul”

9 aprile 2020 by Michele Manzotti in Interviste

www.vimeo.com/marcodellafonte
www.porrettasoul.it

C’è la mano di un regista pistoiese dietro un documentario premiato a Londra. “A Soul Journey”, il film sul Porretta Soul Festival diretto da Marco Della Fonte, ha vinto il premio come “Best documentary” al London Independent Film Festival. Parliamo con lo stesso Della Fonte, che vive tra Pistoia e la capitale inglese, su come è nato il progetto insieme a Graziano Uliani, direttore artistico della rassegna.

«Ho scoperto il festival negli anni 90; in quel periodo facevo il regista di videoclip musicali, quindi per me quello era un terreno naturale. Poi mi piaceva molto il blues, ma anche il rhythm’n’blues e il soul. Quando ho saputo che c’era questo festival vicino a casa, ci sono andato subito, rimanendo meravigliato per la qualità degli artisti e per la partecipazione del pubblico. Chiesi all’organizzatore Graziano Uliani se potevo esplorare il progetto del documentario sul festival: lui accettò e quindi iniziammo in modo spontaneo la ricerca di storie, intervistando gli artisti che partecipavano al festival».

In che anno sono iniziate le riprese?

«Nel 2011, ma sono tornato anche più avanti, avendo più storie interconnesse degli artisti meno giovani che venivano celebrati nuovamente in un posto come Porretta. Tutto questo mentre in America erano in pratica dimenticati, mentre grazie al festival tornavano ad essere dei protagonisti».

Ci può ricordare qualcuno di loro?

«Intanto gli artisti spesso vanno in giro a Porretta così come salgono sul palco, con i loro vestiti sgargianti che non passano inosservati. Questo crea un contrasto nell’ambito della vita quotidiana in una località del nostro paese. Poi esplorando le storie, si va oltre il concetto di documentario musicale per sapere chi c’era dietro a quei vestiti sgargianti. E le storie non mancano. Syl Johnson racconta ad esempio di quando una persona sparò al pianista del gruppo con cui suonava, il quale rispose sparando a sua volta facendo sospendere forzatamente l’esibizione. Oppure Chick Rodgers che dice di essere stata in pericolo di vita perché il marito voleva assassinarla. Quindi ho esplorato la vicenda umana che c’è dietro a ogni artista. I collegamenti involontari di tutte queste storie hanno poi portato a definire quella del film».

Il documentario è stato presentato a Porretta nel dicembre 2018. Quali sono state le tappe che poi hanno portato al festival di Londra?

«Per un documentario come il mio, i festival sono importanti. Dopo Porretta c’è stato l’invito al festival di Palm Springs in California e da quel momento sono arrivati altri inviti. Primo fra tutti quello al Washington Film Festival, grazie all’istituto italiano di cultura che ha ritenuto interessante il rapporto tra la comunità italiana di Porretta e quella afroamericana, a cui appartengono gran parte degli artisti. Da lì è partito il passaparola e avrei dovuto partecipare ad altri quattro festival negli Stati Uniti che ora sono sospesi. A Londra fortunatamente è stato proiettato pochi giorni prima dei divieti dovuti al Covid 19».

Michele Manzotti

 

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