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Interviste

NovoTono: “I nostri suoni orgogliosamente artigianali”

24 aprile 2020 by pdb in Interviste

www.novotono.com

Lo abbiamo sempre pensato, in tutti questi luoghi: le aule dei conservatori, le scuole musicali, i ritrovi delle bande, le sale prove, i garage (e altri ancora), la musica è artigianato. Ed essendo questo; è un’arte di elevazione, di impegno, di dedizione, di studio, di passione; per cui se fatta bene, non è per tutti. Certo c’è anche musica per tutti, ma quella è un’altra cosa. Quindi se arrivate ad ascoltare Wood(wind) at work, il nuovo disco dei NovoTono (il precedente era già stato recensito su queste pagine), di certo siete entrati in quella “bottega artigianale” di chi intende la musica non solo come intrattenimento, e la relega dopo tutto. I fratelli Ferrari (Adalberto e Andrea) sono un chiaro esempio di come il suono è un continente ancora tutto da esplorare. Con questo loro nuovo disco avvicinano il loro mondo sonoro (che è difficile identificare in una sola categoria), proprio a uno dei luoghi eletti dell’artigianato: la bottega del falegname. Entrambi suonano sassofoni e clarinetti, e hanno alle spalle una famiglia di falegnami artigiani (padre, zii, nonni). Così il progetto sviluppato nei dodici brani (composti e eseguiti da entrambi) vede come protagonista il legno, nella doppia veste di elemento della Natura e di materiale di lavoro, di materia risonante e di oggetto da plasmare. Idea molto suggestiva; così abbiamo voluto chiedere spiegazioni ad Adalberto Ferrari.

Questo è un disco che nasce dalle vostre radici. Venite da una famiglia di falegnami, cosa vi ha portato a trasferire quell’esperienza nella musica?

«Direi le affinità. La musica pur essendo un’arte ha a che fare con l’artigianato, e la falegnameria artigiana ha che fare in qualche misura con l’arte, almeno per come l’abbiamo vissuta noi e in parte per come ce l’hanno raccontata. Nella bottega dei nostri bisnonni si facevano i mobili, ma soprattutto, visto il periodo, i carri personalizzati e ruote dei carri che poi erano trainati dai cavalli. Ogni cliente aveva le sue esigenze e i mezzi, fatti per lo più di legno, dovevano essere adattati; ogni carro aveva la sua storia ed era diverso dall’altro, quindi bisognava lavorare di tecnica e fantasia, un po’ quello che succede nella musica. Nostro padre e i nostri parenti hanno continuato quella tradizione nell’epoca più moderna, lavorando su mobili e serramenti su misura e restauro mobili antichi; anche qui si è mantenuto il discorso della creatività legato sia alla lavorazione che in alcuni casi all’invenzione di attrezzi da lavoro. Nei fine settimana genitori, zii, nonni e amici si riunivano in qualche trattoria locale o nella case, e facevano musica insieme, stiamo parlando degli anni ’60 e ’70 e primissimi anni ’80. Tutti loro erano musicisti per diletto, quindi per noi bambini del periodo era tutto naturale: attrezzi da lavoro, montagne di ricci della lavorazione del legno, assi, profumi di legname tagliato, strumenti musicali con conseguenti e frequenti visite a laboratori di liuteria anch’essi artigiani, tutto faceva parte della nostra quotidianità. Quel modo di vivere, quella continua convivenza con l’elemento naturale, l’artigianato, la creatività, la sincerità, la condivisione, in qualche modo ha continuato ad essere presente nella nostra formazione, alcune cose con tutta probabilità hanno influenzato il nostro modo di pensare la musica e di vedere l’arte in generale. Forse Wood(wind) at work è il disco che ci ha permesso di fare un punto, di ragionare e ripensare alcuni passaggi del nostro passato, di collegare l’evoluzione del nostro linguaggio con tutti gli elementi appresi anche per semplice esperienza diretta nella nostra vita. Anche il suono dei nostri strumenti si è formato in modo personale, attraverso la continua lavorazione, potremmo dire “levigazione” della percezione, dell’emissione e postura, un continuo e minuzioso lavoro “artigiano” per poter raggiungere l’obiettivo espressivo che avevamo in testa, e ogni punto d’arrivo continua a essere per noi un nuovo punto di partenza, per una nuova ricerca: qui sta il bello».

Entrambi suonate clarinetti e sassofoni, come riuscite a trovare il giusto equilibrio tra la composizione personale e l’esecuzione successiva in duo?

«La componente timbrica e sonora è molto importante nei nostri progetti e nelle nostre composizioni. Il fatto di utilizzare la quasi totalità della famiglia dei sassofoni e dei clarinetti, ci consente di rappresentare al meglio i percorsi emotivi e le immagini sonore che caratterizzano ciascun momento musicale. I brani che vengono proposti da ciascuno di noi prevedono un sostanziale equilibrio tra composizione ed improvvisazione. Tuttavia anche nelle parti cosiddette strutturate (ovvero scritte) l’apporto personale è molto importante e determinante. Si tratta quindi comprendere la vera natura della composizione, sia in termini strutturali che espressivi, per poter acquisire una libertà interpretativa ed improvvisativa, dettata della coscienza e della conoscenza delI’ambito espressivo che è nella mente e nell’idea del compositore».

Il mondo sonoro di questo disco è concreto come sono concreti i legni che suonate, ma nel contempo è anche immaginifico. Qual è il vostro spettro creativo?

«Scrivere, suonare la propria musica e creare momenti di improvvisazione, necessita per forza di cose di immaginazione. Per noi ogni brano musicale può essere un viaggio, oppure un racconto o ancora la colonna sonora di un film inesistente, il lavoro che facciamo è quello di rendere il più nitido possibile il nostro pensiero, di usare timbro sonoro, note, silenzi, effetti e dinamiche allo scopo di creare situazioni. Tutto sommato un po’ quello che fa lo scrittore mentre scrive un romanzo o una poesia, solo che nella musica si ha a che fare in maniera accentuata con la sfera delle emozioni, e il fatto che non ci siano le parole regala la possibilità, sia a chi suona che a chi ascolta, di fruire della stessa musica ogni volta in modo diverso, con la possibilità di cambiare aspetto all’interpretazione; oltretutto ogni musicista e anche ogni ascoltatore può viversi il suo racconto personale anche all’interno della medesima esecuzione».

Il disco precedente Overlays, aveva trovato sfondo artistico nella città fantasma di Consonno. Questa vostra nuova fatica invece ha come scenario la bottega di un falegname. È così?

«Abbiamo voluto accostare idealmente la tradizione della nostra famiglia con la musica e il percorso musicale che stiamo vivendo. In realtà le componenti del “legno” e della “musica” sono sempre state presenti nella nostra tradizione familiare. I nostri predecessori erano falegnami da generazioni con una forte passione per la musica. Ci è sembrato quindi naturale creare un legame tra questi elementi, ed in particolare con il lavoro che utilizza i legni, che nel nostro caso si tratta di lavoro artistico che utilizza gli strumenti che appartengono alla famiglia dei legni. In particolare nel progetto Wood(winds) at Work, ultimo in ordine di tempo, ogni brano rappresenta un’immagine, ma in modo più ampio direi un insieme di elementi sensoriali, legati alla nostra tradizione. I suoni in questo senso definiscono e scaturiscono da un’ambiente immaginativo multisensoriale».

Ormai trovare categorie definite in cui inquadrare la musica diventa sempre più difficile, ma proviamo a collocare i pezzi di questo disco. I brani presentati qui dove li collochereste?

«Nella grande categoria “Espressività creativa”. Ormai crediamo sia difficile addirittura distinguere i diversi linguaggi artistici in generale. Troviamo inutile creare categorie, quando lo si fa si creano limiti e barriere, l’esatto contrario di quello che l’arte in generale dovrebbe fare. Che bisogno c’è di sapere se un brano musicale fa parte di un genere o di un altro? Un mondo espressivo può essere più vicino o lontano al mio sentire ma è una cosa del tutto personale. Certo si potrebbe dire che è più comodo per il pubblico essere indirizzati: ti dico che questo brano o disco è nel mondo blues o rock o altro e allora tu sarai predisposto oppure no ad ascoltarlo. Spesso diventa una questione di tifoseria. Crediamo tra l’altro che questa comodità nell’indirizzare le scelte abbia più a che fare con il subire che non con il fruire. Lasciando aperto al singolo la possibilità di definire per sè un brano probabilmente si fa anche un atto educativo, si deve per forza cercare di capire, per lo meno si deve ascoltare con curiosità, si deve compiere quel minimo sforzo richiesto per approcciare un qualsiasi mondo artistico o culturale. Questo presuppone un minimo “sforzo positivo” di preparazione, dovrebbe essere un atteggiamento normale, oggi non lo è, purtroppo si vede. Per non parlare delle diatribe che si creano anche fra alcuni musicisti all’interno di uno stesso presunto genere, abbiamo sentito accesissime discussioni su ciò che può essere definito jazz e ciò che non lo è. Non fa per noi, la musica è ricchezza, creatività, condivisione, comunicazione, espressività, disponibilità e molto altro, non certo divisione».

Ci sono elementi o musicisti che vi hanno ispirato nella composizione?

«Direi che molti grandi musicisti compositori appartenenti sia alla tradizione jazzistica che a quella accademica classica fanno parte del nostro percorso musicale, e quindi sicuramente hanno lasciato traccia nel modo di realizzare la nostra musica. Direi più una traccia di tipo espressivo… Il nostro linguaggio musicale, compositivo e improvvisativo, non si lega a uno stile o a un genere musicale in particolare, cerca di trarre da l’insieme degli elementi musicali di cui disponiamo quelli che meglio riescono a rendere efficace la comunicazione espressiva».

Di certo questo non è un periodo facile per la musica, e in generale per tutta la cultura, per voi cosa si prospetta nei prossimi mesi e come ne uscirà l’”industria” della cultura italiana, soprattutto quella musicale?

«Questa è una domanda difficilissima. Credo nessuno abbia una risposta certa. Al momento è evidente solo la difficoltà, le prospettive non promettono nulla di buono. Noi come NovoTono, ma anche come singoli musicisti, continueremo a lavorare intorno ai nostri progetti cercando di dare il nostro contributo laddove ci verrà richiesto per sostenere il mondo musicale, certo molto dipenderà da come le cose verranno gestite a livello politico. Credo però che una buona fetta di differenza, nel futuro più vicino a noi, la possano fare anche gli enti organizzatori e l’interesse del pubblico, se si riesce a tornare alle piccole cose, al gusto per l’ascolto di musica in acustico, alle esibizioni anche in luoghi diversi dal teatro o dalla sala da concerto, come cortili, luoghi privati, spazi aperti o grandi e piccole sale, mi vengono in mente anche le fabbriche (ovviamente rispettando le norme), credo che forse organizzare e fruire della musica e degli spettacoli in genere mettendo gusto e qualità sia come musicisti, come organizzatori e fruitori, ma “accontentandosi” possa dare nuova linfa e perché no forse anche riportarci in una dimensione più naturale, più umana… certo, occorre comunque un minimo di lungimiranza e interesse da parte di sponsor pubblici e privati a tutti i livelli».

C’è chi afferma che la musica può salvare la vita. Cosa ne pensate?

«L’esperienza musicale in genere, a tutti livelli, riteniamo sia molto importante per acquisire una più ampia visione della realtà e soprattutto per consentire di maturare diversi punti di osservazione rispetto a ciò che accade nel viaggio della nostra esistenza. In particolare un’esperienza musicale che richiede approfondimento tecnico strumentale, ma parallelamente culturale e di ricerca personale, porta a definire un proprio linguaggio espressivo che è a tempo stesso sincero e diretto. In tal senso siamo d’accordo che la musica può rappresentare un valido mezzo per osservare e interpretare in modo positivo ciò che rappresenta il reale e la realtà quotidiana».

Avete progetti nel cassetto non ancora realizzati?

«Stiamo già lavorando come NovoTono a nuove idee che speriamo di portare presto alla luce. Nel prossimo futuro abbiamo in programma la registrazione di un progetto che a livello concertistico stiamo portando in giro da un po’ di tempo. Si tratta di un progetto in trio che si chiama NRG BRIDGES ed è in trio con Gianluigi Trovesi. Abbiamo notato fin dalle prime prove una notevole intesa fra noi e una condivisione di idee a livello musicale, che ci ha portati fin da subito a produrre nuove composizioni o riadattamenti di brani, costruendo un percorso davvero ricco e coinvolgente. I primi concerti fatti hanno suscitato davvero molto interesse fra il pubblico, pur trattandosi di musica particolare eseguita da tre strumenti a fiato. Questo ci fa ben sperare, ora per questo idea discografica in trio siamo alla ricerca di una produzione, appena i tempi lo consentiranno inizieremo le registrazioni».

Riccardo Santangelo

(foto in alto Francesco Renne, sotto Luciano Rossetti Phocus Agency)

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