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Interviste

Ghigo Renzulli: “Ora vi racconto 40 anni di Litfiba”

4 dicembre 2020 by Michele Manzotti in Interviste

Foto (c) Riccardo Piccirillo concessa da ufficio stampa libro “40 anni di Litfiba”

Alzino la mano coloro che erano il 6 dicembre 1980 alla Rokkoteca Brighton di Settignano per assistere al debutto di un gruppo chiamato Litfiba. E alzino la mano coloro che avrebbero scommesso che la formazione sarebbe rimasta in piedi fino ad oggi. Tutta la storia dei Litfiba è spiegata molto bene da Ghigo Renzulli che, al di là dei tanti anni in cui Piero Pelù è stato al suo fianco che rimangono nell’immaginario del pubblico, è l’unico musicista che è sempre stato nella formazione dalla nascita a oggi. 40 anni da Litfiba è il suo libro, con la collaborazione di Adriano Gasperetti, edito da Arcana (336 pagg, Euro 19.50, www.arcanaedizioni.com)

“Era tanto tempo che pensavo a un libro del genere. che tra l’altro era atteso da molti fan dei Litfiba. Io sono uno che ama raccontare aneddoti e ciò che volevo, e ritengo di esserci riuscito, era dare un’immagine solare di me. Tra l’altro so che il libro sta andando bene e la cosa mi fa piacere”.

Nel libro ci sono tanti dettagli relativi ai primi anni del gruppo, ha tenuto un diario?

“La mia caratteristica è quella di avere una memoria spaventosa. Non ho tenuto diari e se avessi scritto tutto ciò che mi ricordavo il libro sarebbe stato di 600 pagine invece che 300. Piuttosto ho tenuto la lista di tutti i concerti dei Litfiba, con tanto di scalette, cachet e nome del fonico”.

Adriano Gasperetti, indicato in copertina, quale ruolo ha avuto?

“La scrittura è totalmente mia. ma Gasperetti ha provveduto a correggere il testo. Poi c’è stato anche Alberto Pirelli, il mio manager, che è intervenuto per perfezionare l’ordine cronologico del racconto”.

Ha citato Pirelli. Quando l’ha incontrato la prima volta?

“Pirelli lo conosco dal 1981, quando insieme agli altri Litfiba volevamo incidere Eneide. Lui era socio di Checco Loy, che gestiva lo Studio Gas. Già da allora nacque l’empatia che poi è diventata amicizia. In pratica lavoro con lui da 38 anni, un rapporto che è durato anche nei momenti di separazione da Piero”.

Senza il sodalizio con Pelù come sarebbe stata la storia dei Litfiba?

“Non so cosa sarebbe successo che non fossimo stati insieme tanti anni. Musicalmente la direzione dei Litfiba poteva essere diversa: i primi sei mesi oltre al chitarrista ero il cantante del gruppo. Mi sento un cantautore e probabilmente lo sarei diventato a pieno titolo con una formazione che mi affiancava”.

A Settignano nel 1980 si sarebbe immaginato una carriera così lunga e solida?

“Volevo diventare un musicista sin da quando giovanissimo mi mettevo davanti allo specchio con la racchetta da tennis. Poi sono arrivati i Cafè Caracas insieme a Raf, con i quali aprimmo il concerto dei Clash a Bologna e quindi i Litfiba. Quando ho fatto altri mestieri è stato per sopravvivere, ho investito su me stesso e sono un tipo determinato se mi prefiggo un obiettivo”.

C’è un musicista fra i tanti con cui ha collaborato che ricorda in modo particolare e che è stato importante per lo sviluppo del suono dei Litfiba?

“Al di là della prima formazione con Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi, che però era un viaggio totalmente diverso, nelle successive sicuramente Candelo Cabezas. Era un figlio d’arte, di una delle più importanti artiste colombiane, la Negra Grande de Colombia, ed era un musicista grandissimo, amante del ritmo a 360 gradi. Mi ha dato molto a livello ritmico insegnandomi tante cose”.

Nelle ultime pagine del libro si parla di un nuovo progetto, NoVox. Che caratteristiche ha?

“Si tratta di musica impegnata, un termine che forse è meglio usare tra virgolette, e totalmente strumentale. Solo per il pensiero di fare in Italia una cosa del genere, mi stanno dando tutti di matto. Ma va bene così, è una grande sfida con me stesso. Tanto è un progetto che in ogni caso potrò fare pure a 90 anni, perché parlando di musica strumentale nessuno mi chiede la carta d’identità”.

Michele Manzotti

 

 

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