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Recensioni

AmericanaFestUk, primo giorno, 26 gennaio 2021

27 gennaio 2021 by Michele Manzotti in Concerti, Recensioni

www.theamauk.org

Festival rigorosamente da remoto anche per l’Americana Music Association Uk. I nostri lettori ricorderanno che nelle nostre cronache del 2019 e 2020 raccontavamo i vari showcases sparsi per il quartiere londinese di Hackney. Stavolta la formula è necessariamente diversa: ci sono comunque due palchi virtuali (Stage 1 e 2) che presentano gli artisti in programma. Si può eventualmente ancora comprare il biglietto virtuale, o fascetta come succedeva nel festival dal vivo. Nel sito è stata allestita anche una chat, chiamata Bar Area, con informazioni varie da parte dello staff del festival  Dopo l’introduzione della Ceo Stevie Smith (foto 1) e il saluto a nome di tutto il board dell’associazione, ecco i primi artisti. Nella nostra scelta non sono mancate le belle sorprese, soprattutto tra gli artisti emergenti.

La prima è arrivata da colei che ha aperto il festival, Daisy Chute (foto 2). Cantante, compositrice, chitarrista e banjoista ha pienamente convinto con i tre brani che ha scelto: una voce melodica e piena nei timbri ha impreziosito ottime composizioni come l’iniziale Give Thanks e London On’s Fire. Parlando di voce ci ha stupito piacevolmente quella di Eddy Smith accompagnato dai suoi The 507 (foto 3). Un brano come Middle of Nowhere potrebbe figurare di diritto nel repertorio di artisti di maggiore esperienza, da un punto di vista creativo e dell’esecuzione. E’ stato un piacere ascoltare anche The Good Times con l’armonica in primo piano a dialogare con la voce.

Tra gli showcases del tardo pomeriggio ci siamo imbattuti in un duo dalla grande capacità di presentare armonie vocali in canzoni di grande fascino. The Marriage (foto 4) è formato dagli scozzesi Dave Burn e Kristen Adamson e parte del loro apprendistato si è svolto a Nashville. Ma nei loro brani c’è anche West Coast ed Europa, influenze che poi si fondono insieme felicemente. Lui chitarrista e lei bassista hanno una dimensione da club, ma potrebbero avere meritatamente un pubblico più vasto grazie a brani come Diamonds e Box and Burn It. Interessante anche la performance di Dan Bettridge che con chitarra e tastiere presenta brani che hanno armonie che creano un’atmosfera sognante, come nel pezzo Legacy.

Il primo speciale all’interno del festival è stato dedicato all’etichetta Thirty Tigers con due artisti della scuderia, Emily Barker (foto 5) e Robert Vincent a fare da maestri di cerimonie e intervistatori (oltre che sul palco a presentare i loro brani. Abbiamo visto l’australiana Barker a Manchester 2019 e su queste pagine è stato recensito il suo ultimo album: qui ha eseguito la splendida ballata Strange Weather. Vincent invece si è affidato a un brano dalle atmosfere tex-mex, The Endig. L’elenco delle presenze sarebbe lungo, ma non possiamo non citare Lucinda Williams nella sua versione della dylaniana Queen Jane Approximately, le splendide armonie vocali dei Darlingside, i già conosciuti Ida Mae e John Smith e Recuerdos, brano in spagnolo degli esuberanti Mavericks.

La pattuglia canadese (sotto la sigla Canadian Blast), presenza abituale al festival, ha visto come prima artista Terra Lightfoot, una cantante-chitarrista che presenta un country-rock originale ed energico, come nel brano Midnight Choir. Bello il songwriting intimista, perfezionato a Nashville, di AHI che è dotato di una voce molto interessante. Carmanah è una formazione che viene dalla West Coast e si esprime bene in ballate semiacustiche affascinanti come Demon Host e Stand Up. Emozioni in crescendo con la musica di qualità presentata da Julian Taylor, cantautore di esperienza (segnaliamo The Ridge). Entre deux montagnes, con cambi di ritmo e tessiture vocali riuscite, è invece il primo brano presentato delle francofone Les Hay Babies (foto 6), dal New Brunswick, che sanno virare verso il beat con Same Old, Same Old. Da riascoltare presto (speriamo). Power to Move e Wintergreen degli East Pointers sono invece brani folk imparentati con quelli delle isole britanniche, pieni di ritmo ma anche di arrangiamenti raffinati. In sintesi una scelta azzeccata di artisti dal paese nordamericano.

La nostra serata di conclude con gli showcases dell’etichetta Loose: un progetto che il Popolo del Blues segue da qualche anno e che vede nel suo roster artisti di livello eccellente. Merito del lavoro di Tom Bridgewater, il discografico e appassionato del genere Americana che ha lanciato molti musicisti, organizzando anche serate indimenticabili (Garth Hudson a Londra nel 2007), Anche in questo caso l’elenco potrebbe essere troppo lungo, ma come non citare Israel Nash e i suoi brani dalla grande carica drammatica, loltre a una vecchia conoscenza quali gli Handsome Family e la loro vocazione a raccontare storie, come Don’t Be Scared, con in evidenza la voce di Brett Sparks dal registro grave. Una caratteristica anche di Gill Landry che ha presentato due brani nuovi (Denver Girls, The Wolf).

Interessante i brani dei Treetop Flyers, un duo che prende spunto anche dal soul per i propri brani. Degno prologo a un altro duo, quello dei Native Harrow (foto 7) formazione di cui abbiamo già parlato su queste pagine. Smoke Burns e If I Could sono brani tradizionali nell’ispirazione e attualissimi nel risultato. Dell’etichetta fa parte anche una giovane catalana Joana Serat che ha imparato bene la lezione stilistica del genere come in Hotel Room 609. Dopo Jim White e Danny George Wilson, il gran finale è affidato a Courtney Marie Andrews e alla sua voce affascinante. It Must Be Someone Else’s Fault e Burlap Strings sono la degna conclusione di ascolti della prima giornata.

Michele Manzotti

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