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Interviste

Piers Faccini: “Il mio Mediterraneo cantato in inglese”

18 settembre 2021 by Michele Manzotti in Interviste

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foto (c) Silvio Siciliano

Piers Faccini torna sulle nostre pagine. L’occasione di parlare con lui è stata il concerto ai Rencontres de Chants Polyphoniques di Calvi dove nella Cattedrale ha presentato parte del suo ultimo album uscito nello scorso aprile Shapes of The Fall (NØ FØRMAT! / Beating Drum). Tra i brani del disco c’è All Aboard con ospiti Ben Harper e Abdelkebir Merchane.

Ascoltando il concerto sembra che questo repertorio sia un recupero delle radici e delle passioni. Ha parlato di un viaggio, come lo ha pensato?

La radice principale del mio viaggio è stata la tradizione dei songwriters anglosassoni, seguita dal blues. A 19 anni ho scoperto la musica del Mali e il repertorio folk africano. Poi ci sono cose che hanno bisogno di tempo per maturare come linguaggi ancora più lontani delle tue influenze e delle tue radici. Da un po’ di tempo ho avuto l’idea di ispirarmi ad atmosfere mediterranee perché è un modo di ritrovare le mie origini: da mio padre c’è un lato calabrese e uno di Parma (di dove è originario il cognome), mentre da parte di mia madre sono ebrei polacchi e russi. Quindi la mia musica è un modo di scoprire questi mondi. Trent’anni fa ascoltavo John Renbourn, Nick Drake, Davy Graham, ma essendo amante di musica tradizionale (nello spettacolo ad esempio ho eseguito la Tarantella del Gargano) trovo che questa unisca tutte le mie influenze. La particolarità di ciò che faccio è la conservazione della lingua materna che è l’inglese, anche quando canto il quarto di tono che viene dalla tradizione orientale. L’album più recente è ispirato dalla trance, dalla musica del Maghreb e del Mediterraneo però volevo abbinare l’inglese a mezzi e ritmi più associati ai dialetti del sud italia e dell’africa settentrionale. Cambio spesso la scaletta per dare un maggior senso al concerto.

Lei utilizza la chitarra acustica in modo particolare: a volte si ascoltano sonorità che rimandano all’oud o al mandolino e al bouzouki per i brani ispirati al Mediterraneo

All’inizio mi dicevo che dovevo imparare tutti questi strumenti: poi ho realizzato che ci vogliono troppe vite e a 51 anni ho pensato che era meglio rimanere chitarrista e a pensare di fare suoni particolari con la stessa chitarra. Tornando ai miei primi ascolti, Renbourn e Graham erano chitarristi influenzati dalla musica indiana e specialmente il secondo conosceva benissimo i suoni dell’Oriente.

Ha parlato di un repertorio che può mutare da un concerto all’altro. Sceglie brani tratti principalmente dal suo ultimo disco Shapes of the fall?

La mia intenzione è quella di suonare quattordici o quindici pezzi tra cui otto o nove del nuovo disco e per il resto faccio scelte tra i precedenti inserendo anche qualche tradizionale. E’ un mio modo per raccontare le storie: ho iniziato con una canzone da lavoro della Puglia, proseguendo con un ritmo molto ispirato della musica gnawa con effetto di trance. Ho dato forma a un  lamento che viene della terra (che riguarda tutti gli animali e la nostra vita, con l’emergenza ecologica a cui siamo costretti) ma allo stesso tempo mi sono ispirarmi alle musiche della guarigione perché non possiamo solo lamentarci, ma vedere anche un po’ di luce e di speranza. L’idea della trance è quella di un momento in cui c’è una forma di elevazione. E’ il concetto dell’album e anche quello del live.

Lei dove abita attualmente?

Vivo in una parte della Francia vicino a Montpellier, dove iniziano le montagne e dove domina la natura. L’inglese rimane comunque il mio mezzo principale  per la scrittura: è una lingua con la quale mi sento più sicuro rispetto a francese e italiano e fa parte della mia storia. Ogni tanto scrivo anche in queste lingue, ma mi devo fare aiutare per correggere eventuali incongruenze. Mi piace però l’incontro che crea il dialogo con le altre culture, che è un modo per rimanere me stesso.

Michele Manzotti

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