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Sound Tracks -Jazz & Blues Festival 2025 – 21^ Edizione

14 ottobre 2025 by Silvano Brambilla in Concerti, Recensioni

Fino al 1975 in Italia si diventava maggiorenni a 21 anni. Nel 2005 Luciano Oggioni dava il via al Sound Tracks Jazz & Blues Festival. Quest’anno, 2025, il Festival ha raggiunto i 21 anni di vita. Una combinazione di date per evidenziare la sua ininterrotta e longeva attività musicale, come per Umbria Jazz e Porretta Soul Festival. Dopo la scomparsa di Luciano, tutto è nelle mani della instancabile moglie Daniela Rossi, la quale continua a mantenere fermi alcuni punti che costituiscono i propositi del Festival: il coinvolgimento dei Comuni dell’Alto Milanese per proporre i concerti in luoghi diversi, l’ingresso gratuito, l’inclusione di realtà culturali e sociali. Non è dunque casuale che quest’anno il Sound Tracks ha aperto e chiuso nel carcere di Bollate (Milano), per la conferenza stampa di presentazione, con la presenza del Direttore, di una collaboratrice e di alcuni “ospiti” della struttura, e per il concerto di chiusura. Il tempo settembrino è stato variabile e inevitabilmente i concerti hanno subìto cambi di sede, il primo dei quali è stato quello di Paolo Bonfanti Band, Venerdì 29 Agosto, programmato al Parco Falcone e Borsellino di Busto Garolfo e spostato all’Auditorium.

È doveroso definire che è un quartetto, e non un solista con la band (siamo sicuri che Paolo sarà d’accordo circa la definizione). Quattro bravissimi musicisti dai nomi illustri del panorama musicale italiano, Paolo Bonfanti chitarre e voce (una presenza ultradecennale al Sound Tracks), Nicola Bongianino fisarmonica e accordina (ribattezzata in dialetto ligure, gavafià, da Paolo), Nicola Bruno basso, Alessandro Pelle batteria e percussioni. Un equipaggio molto unito, professionale, esperto, che nell’immaginario collettivo, ha preso il largo dal porto di Genova, per condurre il pubblico sulle trascinanti rotte stilistiche, ogni volta evidenziate con assoluta competenza e personalità. Il principale approdo è negli Stati meridionali d’oltre oceano, iniziando da una One Way Out (originale di Sonny Boy Williamson II), che ci ha portato a pensare all’immensa Allman Brothers Band di Eat A Peach. La Paolo Bonfanti Band sa come catturare l’attenzione di una musica ultracentenaria come il blues, da I Can’t Find Myself, a Traveling Riverside Blues (Robert Johnson). Altra amata rotta è New Orleans per Cissy Strut, degli iconici The Meters, e rimanere là in Louisiana per una conduzione zydeco ma cantata in dialetto ligure, l’autografa Sciorbì/Scuscià, un ricordo alla nonna di Paolo che gli raccontava storie circa il diavolo. Instancabile, sempre più apprezzato, il quartetto fa avanti e indietro, in Liguria per un paio di passi cantati in dialetto, un salto nel Monferrato per il disco là inciso in duo, Paolo Bonfanti e Martino Coppo, Pracina Stomp, dal quale è stato ripreso I Kinda Like, e ancora Exile On Backstreets, prima di eseguire il bis per un’ottima versione di Long Time Gone, di Crosby, Stills & Nash. L’edizione di quest’anno del Sound Tracks non poteva che iniziare meglio di così, ed è proseguita due giorni dopo 31 Agosto al Castello Visconteo di Legnano per il concerto di Boney Fields Band.

È nato a Chicago e viene da pensare al ruolo di chitarrista, armonicista o pianista, strumenti principali del blues urbano, ma non è così, perché è un trombettista che prima di mettersi in proprio, è stato chiamato per concerti e dischi da importanti esponenti, Jimmy Johnson, James Cotton, Buddy Guy, Albert Collins, Liz McComb, Maceo Parker Fred Wesley ecc. Un fluire dunque di blues e funky con accostamenti soul che caratterizzano il suo idioma. Un’artista camaleontico che ad ogni suo concerto non sai mai cosa aspettarti. L’appuntamento di Domenica 31 Agosto si può definirlo, sold out, pieno per i posti a sedere più gente in piedi, per la soddisfazione anche del Sindaco. Se qualcuno si aspettava di risentirlo in versione prevalentemente blues, come all’edizione dello scorso anno del Lugano Blues To Bop, è rimasto parzialmente deluso, per un incandescente scorrere di note funky r&b, dove la professionalità era puntellata anche da istintività e manierismo. Come un cuore pulsante di una rhythm&blues band, la formazione era composta da sette musicisti, tre fiati, tromba, sax e trombone, tastiere, chitarra, basso e batteria. La proposta dei pezzi è estratta perlopiù dai suoi dischi. La band attacca con Still Together, prosegue con Cross My Heart, Ain’t Giving Up On You, Boney Fields è un trascinatore, canta con piglio, ma sa essere anche soulful con la lenta Something’s Holding Me. Invita il pubblico ad alzarsi e ballare sulle note funky di Times Are Changing, e senza soluzione di continuità il concerto esplode eliminando la distanza fra il palco e il pubblico, Just Give Me Some Mo’, I Know Yes I Know, fino all’unico blues, The Thrill Is Gone (di B.B.King), per poi evocare la libertà dei popoli con Freedom, e prima dell’immancabile bis, con un altro trascinante funky Get Up Get Down Get Funky Get Loose. Anche i “fantasmi” del Castello Visconteo di Legnano hanno apprezzato, dopo un altro concerto, quello di Shakura S’Aida dell’edizione del 2016 del Sound Tracks Festival! C’era parecchia curiosità circa il ritorno di Tolo Marton dopo dodici anni.

Questa volta è successo Giovedì 4 Settembre in Piazza Mazzini a San Giorgio Su Legnano. Tolo ha un passato che si può definire glorioso a livello internazionale, il tastierista e compositore Bobby Whitlock uno dei leggendari Derek and The Dominoes, recentemente scomparso, dichiarò che: è un chitarrista fenomenale, e il bassista ex Deep Purple Roger Glover, con il quale Tolo ha collaborato, dichiarò: per l’Italia è un patrimonio nazionale. Un’altra qualità del chitarrista veneto è che è sempre stato coerente circa la sua situazione musicale, non ha mai voluto essere accostato a nessuna matrice stilistica, anche se le influenze sono chiare. Uno spirito libero, umorale, a seconda dello stato d’animo sa fare un concerto di blues di prim’ordine o un concerto di rock enciclopedico. Accompagnato da basso e batteria, ha preferito orientarsi su un repertorio variegato, che è certo nelle sue corde, ma l’inesorabile età che avanza più qualche concausa, hanno mostrato un Tolo Marton a tratti insicuro su come procedere, improvvisando qua e là note al momento, e con un canto indebolito. Segnaliamo alcuni passi come lo standard strumentale Time Is Tight ( Booker T, & The Mg’s), Sunshine Of Your Love (Cream), un tuffo nell’era beat con C’è Una Strana Espressione Nei Tuoi Occhi (The Rokes), l’immancabile Hey Joe, il tema della Pantera Rosa (Henry Mancini), e mentre stava suonando una delle sue conosciute composizioni, Alpine Valley, le prime gocce d’acqua hanno deciso di interrompere il concerto il quale, al di là di come sia andato e dei pareri divisivi, Tolo Marton rimane una delle figure storiche della musica. “Rischio, esperienza, capacità di pensare fuori dagli schemi sono tra le caratteristiche peculiari del Sound Tracks Jazz&Blues Festival (…), una realtà che vuol continuare ad essere una traccia diversa senza farsi omologare (…) artisti che hanno la proprietà intellettuale di uno stile proprio e di una personale creatività, che si assumono il rischio della battaglia”. Queste righe le abbiamo estratte da una più ampia relazione scritta da Daniela Rossi per l’opuscolo di presentazione del Festival. Ci sono sembrate calzanti per una delle migliori realtà italiane e non solo, i Sacromud.

Più che una band è una esistenza comune, dove si condividono e si espongono storie musicali e sociali. Le prime nate dal fiume Mississippi che ha materializzato il sacro fango dalla consistenza, blues, soul, r&b, funky, rock’n’roll, le seconde dalla quotidiana disumanità che subiscono i popoli. Il collettivo è composto da: il fondatore, leader, direttore musicale, chitarrista e autore, Maurizio Pugno, il cantante, autore, Raffo Barbi, il bassista Franz Piombino, il batterista Riccardo Fiorucci, il tastierista Alex Fiorucci, la sezione fiati dei The Cape Horns, i giovani, Leo Pugno chitarra e Alessio Lucarini batteria. I loro dischi sono stati, giustamente, lodati da chi se ne è occupato per una recensione e molto apprezzati dai fruitori. Ogni loro concerto crea una complicità con il pubblico per un bellissimo viaggio su una immaginaria nave, il cui equipaggio, questa volta formato da: il capitano Maurizio Pugno (chitarra), la voce del mare Raffo Barbi (voce), il timoniere del groove Franz Piombino (basso), il giovane medico di bordo Leo Pugno (chitarra), il vogatore del groove Alessio Lucarini, è approdato in quel di Canegrate il 13 Settembre, dentro l’Auditorium Lea Garofalo e non in Piazza Matteotti come previsto, causa situazione metereologica. L’inizio è già toccante, risentiamo la breve testimonianza, registrata, di un ex Partigiano, che apre il pezzo Carousel (dal disco intitolato come il nome della band), poi Raffo lo introduce con parole che ricordano i migranti morti in mare che avevano la speranza di arrivare su un’altra riva, guidati dalla luce dell’unica stella. Tutti sono eccelsi, Raffo è un teatrante, un trasformista nelle movenze del corpo e della voce, di volta in volta porta il pubblico in prossimità di una storia con brevi frasi, dove Maurizio e Leo Pugno si dividono le parti chitarristiche grondanti di genuinità, passione, tecnica, mentre la sezione ritmica di Franz e Alessio, avvolge, sostiene, spinge, rallenta. Il concerto non ha soluzione di continuità, avanti con The Mule, The Hider & The Seeker, con l’unica cover dal repertorio del grandissimo Bobby “Blue” Bland, Ain’t No Love In The Heart Of The City, a ribadire quella magica mescolanza soul blues nell’idioma stilistico dei Sacromud. Il pubblico è completamente catturato, non smette di applaudire calorosamente, Symmetry, The Woman’s Trouble Is Me, Pray For Me, Holy Day, Rag Doll Crying, e ancora, ancora, fino ad un finale con tutti in piedi a ballare e battere le mani. Un concerto che molti ricorderanno. Il quinto appuntamento si è tenuto a Nerviano, ed era dedicato a Nick Becattini, purtroppo scomparso il 10 Settembre dell’anno scorso. Ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del blues, in Italia e non solo. Ha affrontato e sconfitto i suoi demoni con la musica blues, come ha scritto nel libro, Catartico Blues, presentato nel pomeriggio alla Biblioteca di Nerviano.  “Qualche giorno dopo di nuovo con l’umore sotto i piedi, pieno di pensieri disperati dovuti agli eventi appena trascorsi, misi sul piatto un disco di Luther Georgia Boy Johnson (…) la chitarra scorre sulle corde in stile lowdown, tipico del sud, cominciai a ballare, il movimento che mi suscitò dalle gambe in su piano piano mi liberò dalla palude nella quale mi trovavo. Ecco il Blues! Quel movimento, ritmico, catartico, liberatorio (…) sentii la vita riaffluire (…) il Blues traghettava la mia Anima verso la Luce (…)”.

Nick, anche se non più in presenza come per il suo concerto di tre anni fa, è come se fosse ritornato al Sound Tracks Festival, oltre che nel cuore e nella mente di noi, piace pensarlo che era ancora sul palco, questa volta quello della tensostruttura sempre di Nerviano, dove la sua ombra si aggirava fra un amplificatore e l’altro e accanto ai musicisti che formano la, Nick Becattini Legacy in suo onore, formata da colui che gli è stato accanto per quindici anni, uno fra i primi suonatori di organo hammond in circolazione, direttore della banda e cerimoniere, Keki Andrei; da colui che è stato un suo vero amico, uno dei più sinceri e genuini appassionati di musica, uno che tocca gli strumenti a corda, chitarra elettrica, acustica e resofonica, non per mostrare doti virtuosistiche, ma per esternare concretezza in ogni momento, Cek Franceschetti; più una solida sezione ritmica formata da Andrea Cozzani basso e Guido Carli batteria. Un quartetto che da subito ha catturato il pubblico per spontaneità e calore con cui ha ridato vita ad una parte del repertorio di Nick fra autografi e cover. Citiamo, My Mouse, Don’t You Mess With Me, Johnny The Gambler, Rolling Doors (dall’ultimo disco Crazy Legs), un’ottima riproposizione di Pistoia Blues. Per le cover, lo standard I Ain’t Nobody Businness, I’ve Got Dreams To Remember (Otis Redding), Big Legged Woman (Freddie King) e per il finale quel pezzo che Nick lo ha reso uno dei suoi punti fermi, Ain’t No Love In The Heart Of The City, che riprese dal repertorio di quel monumento della musica che risponde al nome di Bobby “Blue” Bland. Un altro ottimo concerto che ha continuato a dare valore all’edizione di quest’anno del Sound Tracks Festival, il cui ultimo appuntamento si è tenuto martedì 7 ottobre nello spazio teatro/cinema all’interno del carcere di Bollate, riservato ad un numero limitato degli “ospiti” della struttura, delle varie istituzioni dei comuni che hanno aderito all’edizione di quest’anno e di alcuni addetti ai lavori. Quest’ultimo appuntamento non ha mancato di promulgare uno dei momenti che hanno caratterizzato il Festival, l’energia. Ha aperto un gruppo formatosi da una delle varie iniziative interne della struttura carceraria, la Seven Band, così autodefinitasi non per il numero di componenti ma per il “raggio N.7” dove sono attualmente collocati. Per l’occasione la formazione era composta da nove persone con, chitarra elettrica, basso, due tastiere, cajon, flauto di pan, voci. Con palese entusiasmo hanno proposto un repertorio “in libertà”, Da Je So Pazzo (Pino Daniele), a Isn’t She Lovely (Stevie Wonder), da Giudizi Universali (Samuele Bersani), a Englishman in New York (Sting), da Sitting On The Dock Of The Bay (Otis Redding), a Moondance (Van Morrison), a Imagine (John Lennon), versione toccante e applauditissima per come è stata eseguita. Probabilmente l’esperienza della Seven Band finirà dove è iniziata, dentro il carcere di Bollate, ma noi abbiamo portato fuori un momento che ricorderemo. La seconda parte del concerto ha riguardato il duo, Superdownhome, Beppe Facchetti batteria e voce, Henry Sauda cigar box, chitarre e voce. L’idioma del duo non ha una sola traccia, è blues, rock’n’roll, garage rock, punk, il tutto amalgamato per creare sonorità che siano le più spontanee, dirette, spigolose, ipnotiche. Di base è un blues che prende ispirazione da quelle sonorità nate fra colline dello Stato Del Mississippi, da capiscuola come R.L. Burnside, Junior Kimbrough, T Model Ford e da alcuni loro allievi, Scott H Biram, Seasick Steve, Jon Spencer Blues Explosion, Black Kyes. Il duo ha raggiunto livelli di notorietà non solo in Italia, sia con dischi dove hanno coinvolto importanti personalità del blues, primo fra tutti, l’armonicista Charlie Musselwhite, che con sanguinei concerti. Senza soluzione di continuità hanno proposto pezzi dai loro dischi, intervallati ad alcune cover, Hoochie Coochie Man (Willie Dixon), New York City (John Lennon), Homework (Otis Rush) e titolo di un loro disco.  Poi tutti insieme per un finale festoso, più Cek Franceschetti al canto, con Sweet Home Chicago. Arrivederci alla 22^ Edizione del Sound Tracks Jazz & Blues Festival

Silvano Brambilla

Foto di, Fabio Tosca (Atelier Fotografico)

 

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