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Love live all’Auditorium Flog,
Firenze 13/03/2004


Certi miti della musica hanno fatto la miglior scelta quando, sfiorito il momento d’oro, pensarono bene a non farsi tentare dalla voglia di riproporsi in pubblico sull’onda del mero ripescaggio catalogico e di quelli che sono cascati nel tranello dell’auto affermazione ancor meno sono coloro i quali possono affermare a testa alta di essere ancora i migliori. Brian Wilson, e Arthur Lee sono le due eccezioni che più di altre in questi ultimi anni hanno fatto scalpore per freschezza della propria proposta e l’immutabilità delle proprie qualità.
Per entrambi non si può parlare di un vero e proprio ritorno ma per Lee, i cui Love erano un ricordo sbiadito per i pochi fortunati che li avevano potuti vedere in concerto nei sessanta negli Stati Uniti e/o in una unica tournee inglese nel 1970, la scommessa di riaffermarsi aveva radici profonde e la felicità di applaudire almeno una volta nella vita questo alto e dannato meticcio hipster del Sunset Boulevard losangelino, l’uomo che scoprì Jim Morrison, su un palcoscenico, pareva solo un sogno fino al 2000.
Poi il miracolo; lasciatosi dietro le spalle quasi 9 anni di prigione, Arthur Lee, che “ha visto la luce “, torna in azione con una band di giovani e preparati musicisti a cui dà il nome di “Love” e non solo ricomincia ad esibirsi dal vivo, ma decide addirittura di girare il mondo per spiegare a tutti, una volta per tutte, chi è l’anima dei Love e perchè.
Ed è sull’onda di queste motivazioni che Lee raggiunge Firenze, ultima data della sua prima tournee italiana per una data affollatissima e, ci auguriamo, ripagante di altre meno edificanti.
C’è grande eccitazione alla Flog, dove il rock è di casa ogni giorno della settimana; questa sera la leggenda si potrà toccare con mano e, nel corso del concerto lo scopriremo bene, lui, la leggenda in persona, non si tirerà certo indietro per confermare il proprio status.
A quasi sessant’anni Lee è un uomo prestante, veloce, rapido, dal fisico asciutto e dal portamento elegante che ce lo rimanda direttamente alla tradizione dei grandi cantanti di soul di una volta. Il suo look è però un misto di freakness e hipster vechio stile: camicia da cowboy nera, scarpe lucide da soulman, bandana fermata e coperta da una bombetta che è diventata quasi un marchio di fabbrica del suo nuovo look. Un paio di occhiali neri nascondono due occhi azzurri che non sono nè quelli di un nero nè quelli di un anziano e quelle( poche) volte che si toglierà gli occhiali quegli occhiali diranno sempre qualcosa di importante. Nella tasca posteriore destra dei semplici pantaloni neri che indossa è facile distinguere il gonfiore del portafoglio seconda un vecchio detto ( che appresi personalmente da un altro meticcio, il newyorchese Garland Jeffrey) “ never leave your wallet in the backstage “.Nesun altro segno particolare caratterizza un’artista che ha da sempre affidato tutta la sua arte ( e non è poca ) all sua voce. Quella voce… Arthur Lee canta oggi molto meglio che nei dischi originali dei Love e il repertorio che questa sera passerà in rassegna non solo è difficile da cantarsi ma è anche verboso, pieni di voli pindarici e ricadute che lasciano presupporre un cantante completamente in controllo della propria persona. Fa questo effetto la galera ?…
La band che lo accompagna è, a parere di chi scrive, la migliore formazione dei Love mai esistita per un semplice motivo: pare che suonino il repertorio dal giorno in cui questo è stato composto e fermato su disco. Tutta questa operazione musicale si compie però con naturalezza, scioltezza e secondo lo stile del rock più acido di questi ultimi anni, evitando di sembrare ciò che non si può( nè si deve!) più essere. In poche parole, i Love di oggi sono molto più contemporanei e superiori dei gruppi che dicono di essersi ultimamente ispirati a loro!
Il resto è solo la cronaca di una grande serata, una delle migliori in assoluto della stagione 2003-2004 a Firenze ) che raggiunge il culmine in “You Set The Scene” che si snoda come un mantra rock e in “Maybe the People would be the times or between Clark & Hilldale” ( entrambe dal capolavoro ”Forever Changes”) che concluderà le quasi due ore di spettacolo. Non di meno “Signed D..C”( dal disco d’esordio) restituita con pathos reale da Lee colpirà per la bellezza musicale e la tristezza dei contenuti. Di più è difficile dire per non sprecare superlativi. Ne resta uno solo, però, per chiudere: straordinario!

Ernesto de Pascale


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