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Recensioni

Bob Dylan – Tempest

18 ottobre 2012 by Matteo Vannacci in Dischi, Recensioni

(Columbia)
www.bobdylan.com

Dagli anni Ottanta, nonostante non riesca più a tenere il pazzesco ritmo dei suoi primi venti anni di carriera, Bob Dylan è riuscito a produrre almeno un capolavoro assoluto per decennio: nel 1989 fu “Oh, Mercy” a ridefinire l’immagine del cantautore di Duluth e sulla base di quel disco si è sviluppata buona parte della sua discografia successiva. Nel 1997 fu quindi il momento di “Time Out Of Mind” e nel 2006 “Modern Times” raggiunse un altro grandissimo successo di critica.

Oggi, nel 2012, è ancora presto per dire se “Tempest” sarà il capolavoro di questo decennio; quel che è certo è che a 71 anni, nonostante le voci che l’avrebbero voluto alla sua ultima fatica, Robert Zimmerman è ancora in grado di stupire, di commuovere e di divertire il suo pubblico.

“Tempest” è un nuovo passo dell’eterno ritorno di Dylan alle radici della canzone americana, un’opera slegata dal tempo basata sulle grandi contrapposizioni umane: l’amore impetuoso e giovanile di “Duquesne Whistle” e quello senile di “Soon After Midnight”; l’odio cieco (di un soldato di ritorno dal fronte? di un padre che ha perso il lavoro?) che in “Pay in Blood” prende di mira un nemico potente e invisibile; la gretta corruzione di “Early Roman Kings”; la dolce malinconia della splendida “Long and Wasted Years” e dell’inno “Roll On John” dedicato al collega e amico John Lennon, segno di una probabile – nel caso di Dylan il condizionale è una regola aurea – meditazione sulla vita e la morte.

Binomio, quest’ultimo, che emerge nei due brani cardine del disco: la ballata folk “Tin Angel”, una tragedia con personaggi shakespeariani in sanguinaria lotta, ambientata in un universo indefinito, e l’epica “Tempest”. La title-track, quattordici minuti di quartine in rima alternata dedicate al naufragio del Titanic, è il pezzo più bello, evocativo e poetico dell’album. Vera e propria “Desolation Row” contemporanea, della quale riprende in parte l’espediente narrativo, “Tempest” è un meraviglioso quadro dell’umanità e della cultura popolare americana, intrisa di riferimenti storici, musicali e cinematografici, anche banali (come Leo, ovvero proprio Leonardo Di Caprio), sui quali Dylan è in grado di passare con la leggerezza di una farfalla. In “Desolation Row”, quando il Titanic salpava all’alba, tutti si chiedevano da che parte sarebbero stati: in “Tempest” Dylan cerca di dare una risposta, trasformando l’evento reale in un naufragio universale in grado di svelare il volto profondo dell’uomo grazie al suo continuo equilibrio tra sogno e realtà, come in un romanzo di Joseph Conrad.

In questi giorni si assegna il premio Nobel per la letteratura e come sempre Dylan è considerato tra i favoriti. Chi scrive non sa quale sarà l’esito di questa premiazione, ma il modo in cui questo menestrello del Minnesota continua a giocare con le parole e a tratteggiare l’umana stirpe meriterebbe di essere riconosciuto in eterno nella storia della letteratura.

Matteo Vannacci

Tracklist:
Duquesne Whistle
Soon After Midnight
Narrow Way
Long and Wasted Years
Pay in Blood
Scarlet Town
Early Roman Kings
Tin Angel
Tempest
Roll On John