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Ry Cooder – The Prodigal Son

6 giugno 2018 by pdb in Dischi, Recensioni

(Fantasy Records)

www.rycooder.com

www.fantasyrecordings.com

C’è un precedente molto vivido che viene alla mente, utile ad inquadrare “The Prodigal Son”, diciassettesimo disco di Ry Cooder: la collaborazione tra questi (in qualità di produttore ed arrangiatore) e Mavis Staples, che portò allo splendido “We’ll Never Turn Back” (2007): in quel frangente il soul si ammantava di sonorità rock/blues che conferivano ancora più forza e verità al messaggio della leggendaria interprete. Ed è proprio quell’idea di suono che sembra ispirare la stesura di buona parte di “The Prodigal Son”: la title track stessa, “Shrinking Man”, “I’ll Be Rested When the Roll Is Called”, “In His Care” pur nella diversità di arrangiamenti e ritmi hanno tutte l’incedere epico e corale del gospel, pur nelle soluzioni sonore che solo il musicista californiano riesce ad escogitare. In diversi episodi ritroviamo poi il Cooder più intimista, capace di scrivere ballate di fronte alle quali la critica ragionata non può che rimanere silente: poche cose hanno il carattere della Verità quanto la voce carezzevole di Ry che ammansisce uno spiritual (l’iniziale “Straight Street”), suggerisce remotissime glorie di Bob Dylan (“Harbor Of Love” non è forse una ritrovata “Barbara Allen”?) o rende omaggio a Woody Guthrie (“Jesus And Woody”). Ecco, “The Prodigal Son” è come un lago non troppo vasto ma parecchio profondo, nel senso che sacrifica certe etnicità e sperimentazioni care agli amanti del Cooder-pensiero espresso nella cosiddetta trilogia californiana (era la metà degli anni 2000), per rimanere saldo nei territori del soul e del R’n’B. Una scelta che garantisce formidabile coerenza di intenti e suono, specie se si considera che delle undici tracce presenti ben otto sono traditionals e o comunque scritte da altri autori – e non lo avremmo mai pensato se non avessimo letto il libretto accluso o riconosciuto alcuni classici. Sul versante della capacità strumentale i 71 anni di età non hanno minimamente scalfito le multiformi abilità di Ry Cooder, che qui suona (splendidamente) tutti gli strumenti, percussioni a parte: di esse si occupa il figlio Joachim – ormai una garanzia, in assenza di Jim Keltner. Doveroso infine citare il fondamentale contributo fornito dalle possenti voci dei fidi Bobby King e Terry Evans, quest’ultimo purtroppo scomparso pochi mesi fa: una ragione in più per godersi appieno questo ennesimo grande capitolo di american music targato Ryland Peter “Ry” Cooder.
Pietro Rubino

Tracklist
1. Straight Street
2. Shrinking Man
3. Gentrification
4. Everybody Ought to Treat a Stranger Right
5. The Prodigal Son
6. Nobody’s Fault But Mine
7. You Must Unload
8. I’ll Be Rested When the Roll Is Called
9. Harbor of Love
10. Jesus and Woody
11. In His Care

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