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Interviste

Stefano Barotti: “Mi piacciono le parole che suonano”

14 febbraio 2021 by Marco Sonaglia in Interviste

www.stefanobarotti.net

Stefano Barotti ha pubblicato da qualche mese il nuovo disco “Il grande temporale”, già recensito su questo sito: un lavoro molto ispirato che dimostra la sua maturità artistica. Abbiamo colto l’occasione per fare quattro chiacchiere con il musicista massese sulla sua musica tra cantautorato italiano ed echi di Oltreoceano.

Come nasce “Il grande temporale”?

Stavo registrando in studio con Vittorio Alinari (sax) alcune session per un progetto comune con un altro musicista. Ultimate queste, avevamo ancora un po’ di tempo e gli ho chiesto di suonare e registrare su un mio vecchio provino. Da quel momento è iniziato il “Il grande temporale”. Mi sono accorto di avere voglia e bisogno di un nuovo disco. Avevo 13/15 canzoni buone pronte da mettere in fila e così è stato. Poi nel disco ne sono rimaste undici.Ho lavorato a lungo alla pre produzione nel mio studio in casa, strutturando i brani e pensando ai colori da inserire per ognuno. Ho scelto i musicisti per ogni canzone, immaginando molti interventi diversi. Ci sono circa venti musicisti nel disco. Con alcuni collaboro da anni, altri sono state bellissime sorprese.

Hai un uso della parola e delle rime molto originale, come è il tuo approccio alla scrittura?

Mi piacciono le parole che suonano e le frasi che lasciano immagini. Non vado matto per le rime baciate, mi piacciono molto di più le assonanze, o le rime interne. Non ho uno schema preciso sul come mettere insieme una canzone. Da giovane ero molto più pescatore di canzoni, andavo a cercarle, a prenderle. Oggi sono loro a cercarmi e a portarmi a spasso. Mi lascio portare, scrivo sempre tutto insieme, musica e parole. A volte un’idea di testo suggerisce una melodia e viceversa. Cerco sempre di non rinchiudermi nel mio “scrivere” e di lasciare libera la canzone che sto scrivendo, e di far muovere insieme testo, melodia, armonia e ritmica. Dando la stessa importanza a questi quattro elementi.

Il disco è registrato tra l’Italia e gli Usa, come si sono sviluppati gli arrangiamenti?

Ho iniziato dalle ritmiche (basso e batteria) lasciando alcune tracce portanti delle mie chitarre. Per alcuni brani ho pensato alla via “americana” inviandoli a Jono Manson, Joe e Marc Pisapia, James Haggerty e John Egenes. Per altri ho avuto il contributo dei tasti di Fabrizio Sisti coproduttore del disco insieme a Vladimiro Carboni (batteria). Roberto Martinelli si è occupato della direzione degli archi per “Stanotte ho fatto un sogno” e poi ci sono state le varie collaborazioni con gli altri musicisti. Le chitarre di Marco Giongrandi, Davide L’abbate, Roberto Ortolan e la dobro di Paolo Ercoli. Infine l’ospitata di Veronica Sbergia e Max De Bernardi. Tutti musicisti di grande spessore e soprattutto amici. Mi piace sottolineare la partecipazione di Laura Bassani (voce)al suo esordio in un disco, è stato davvero interessante mescolare la mia voce con la sua. Un esperimento riuscito.

Nella canzone ” Stanotte ho fatto un sogno”, ha suonato anche Roberto Ortolan, scomparso lo scorso anno, ci puoi dare un suo ricordo? 

Di Roberto ho un ricordo forte. Mi piange ancora il cuore per non essere riuscito a salutarlo per colpa del covid. Sembra ancora impossibile non ci sia più. Devo ancora realizzare la sua partenza. Musicista straordinario dal quale ho imparato molto. Eravamo molto amici. La musica e la visione della vita ci rendeva simili e uniti. Abbiamo passato insieme molto tempo scrivendo canzoni, avevamo un progetto comune al quale abbiamo lavorato per anni, questo ci ha dato modo di interagire e mettere insieme il mio con il suo scrivere. Abbiamo passato notti intere a fare musica. Eravamo come due bambini al parco giochi quando avevamo a che fare con una canzone. Era un uomo ironico, e lo è stato anche durante la malattia. Condividevamo anche l’amore per la cucina. Era un ottimo cuoco. Il fatto che abbia suonato e cantato nel mio disco un po’ mi consola.

Tra le varie collaborazioni della tua carriera non possiamo non citare Jono Manson e i Gang. Ci parli del tuo rapporto con loro?

Che dire… Jono è un fratello ormai. Ha prodotto i miei primi due dischi, registrati in gran parte in New Mexico, abbiamo condiviso palco, canzoni e dischi. C’è un profondo rispetto artistico tra di noi. Pensare a Jono mi fa tornare ai miei inizi, a quando avevo ancora tutto da imparare ma lui ha visto in me qualcosa di speciale. Negli ultimi anni proprio lui mi ha coinvolto nei dischi dei Gang, serviva una voce per dei controcanti a Marino e hanno scelto me, è stato un onore esserci. Da ragazzo cantavo già le mie canzoni ma una delle poche cover in scaletta era “Bandito senza tempo” dei Gang. Ritrovarmi dopo più di vent’anni a partecipare a un loro disco è stato bellissimo.

Come vivi questo periodo privo di musica dal vivo?

Mi manca il palco, e mi manca incontrare persone grazie alla mia musica. Spero che la situazione con il 2021 possa migliorare. Il mio lavoro riguardo le canzoni non è cambiato. Anzi, ho avuto più tempo per scriverne, registrare, e avere collaborazioni con altri musicisti. Ma, alla fine quello che più mi piace è il palco, suonare, portare le canzoni a farsi un giro tra la gente. Incrociamo le dita..

Marco Sonaglia

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