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Umbria Jazz Winter, Orvieto, 29 dicembre 2021-2 gennaio 2022

5 gennaio 2022 by Michele Manzotti in Concerti, Recensioni

www.umbriajazz.it

Foto concesse da ufficio stampa Umbria Jazz (tutti i diritti riservati)

La 28a edizione di Umbria Jazz Winter può contare su un bilancio positivo non solo dal punto di vista artistico, ma anche da quello dei numeri. Oltre oltre 4.500 spettatori paganti hanno assistito agli eventi in programma al Teatro Mancinelli, al Museo Emilio Greco, alla Sala Expo di Palazzo del Popolo e al Palazzo dei Sette. Tutto ciò nonostante che il festival abbia dovuto fare i conti con cancellazioni, ridimensionamenti e costrizioni imposte dalla pandemia, e con il pubblico che non ha potuto vivere al meglio l’atmosfera che solitamente caratterizza il fine anno a Orvieto. La qualità musicale fortunatamente non è  mancata grazie alla presenza di alcuni grandi nomi e a ottimi musicisti.

Partiamo con Bill Frisell che ha presentato uno degli appuntamenti più attesi di Umbria Jazz Winter, il progetto dedicato alla musica di Michael Gibbs. Lo stesso jazzista e compositore doveva essere sul podio del Teatro Mancinelli a dirigere il trio di Frisell e la UJ Orchestra, ma non ha potuto raggiungere Orvieto, così come il batterista Rudy Royston. La produzione di Umbria Jazz, in vista di un disco per la Blue Note, ha visto quindi l’orchestra (sei ottoni, quatto tra legni e sax più un violoncello) insieme a Frisell e al contrabbassista Thomas Morgan. Lo stile di Frisell è molto raffinato nel trattamento della melodia e nei sui sviluppi. Il compito dei musicisti che lo affiancano, come nel caso del repertorio del Songbook americano nel 2015, è proprio quello di mutuarne lo stile per affiancarlo al meglio. Un compito impegnativo che la UJ Orchestra ha affrontato al meglio e che sarà interessante ascoltare nell’incisione. Più naturale è stato l’approccio di Morgan, specialmente nei dialoghi a due con Frisell. (Foto Massimo Achilli)

Il set è stato preceduto da quello di un altro chitarrista, Lionel Loueke, originario del Burundi e di base a New York dove è stato scoperto da Herbie Hancock. La sua esibizione solista “HH” è stata dedicata proprio al suo mentore di cui ha eseguito brani (ricordiamo il classico “Tell Me a Bedtime Story”) con un evidente linguaggio etnico, tapping sulle corde della chitarra, canto che segue la melodia eseguita sulle stesse corde. Un solista elegante da seguire con attenzione nella sua attività. (Foto Massimo Achilli)

Il pianista di New Orleans Sullivan Fortner era stato già in cartellone due anni fa in trio con il batterista Lewis Nash e una ballerina di tip tap. Nel suo concerto solista al Museo Emilio Greco ha presenta uno stile che tiene conto di ascolti importanti, da Erroll Garner al bop fino a quelli classici con la proposta di un valzer di Chopin, resi con un’ottima tecnica.  (Foto Massimo Achilli)

Del disco di Enrico Rava in sestetto Edizione speciale abbiamo già parlato sulle nostre pagine. L’esecuzione dal vivo è però stata ancora più entusiasmante Dopo due anni e nonostante il periodo pandemico, l’ensemble (con il contrabbassista Gabriele Evangelista, il batterista Enrico Morello, il chitarrista Francesco Diodati, Giovanni Guidi al pianoforte e Francesco Bearzatti al sax tenore) ha mostrato grande affiatamento e vitalità sul palco con momenti solisti di grande efficacia. Rava lascia molto spazio ai colleghi più giovani: ci piace ricordare il pianista umbro (quindi di casa)  Guidi che mostra sempre di più la sua solidità artistica anche nei momenti meno prevedibili e ispirati dal free jazz e l’ottimo lavoro di Evangelista nelle ritmica e nei momenti solisti. Una serata piena di suoni mai banali e invenzioni di lusso in pezzi come “Infant” e “The Fearless Five” fino al fuori programma “Quizàs” per un ulteriore momento di allegria e giocosità tra note ed esecutori.

Frisell è stato protagonista anche di un concerto per chitarra sola al Teatro Mancinelli l’ultimo giorno del festival, presentando un programma che ha mostrato il grande amore del solista per il Songbook americano. Nel suo linguaggio jazzistico in questo caso sono entrati blues, country, gospel e il grande pop alla base degli standard come “The Look of Love” e “Moon River”. Gli effetti della pedaliera sono sempre affrontati con grande gusto per arricchire i brani in un dialogo continuo tra armonie e melodie. Una prova di classe per uno dei chitarristi più quotati sulla scena internazionale.

Concludiamo ricordando The Anthony Paule Soul Orchestra, che come la formazione di Allan Harris “Kate’s Soulfood” era proveniente dalle esibizioni al Porretta Soul Festival. Due set al giorno all’interno della Sala Expo del Palazzo del Popolo hanno dimostrato una sempre maggiore solidità dei musicisti guidati dal chitarrista di San Francisco. Inoltre la cantante di Oakland Terrie Odabi ha dato il meglio di sé conquistando il pubblico con la sua voce, interpretando brani come “Hate take a Holiday” e la bella “After Awhile” composta da Christine Vitale.

Michele Manzotti

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