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The Grateful Dead – Cornell 5/8/77

26 maggio 2017 by pdb in Dischi, Recensioni

(Rhino Records)
www.deadnet.com
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L’ipotesi che possa prima o poi uscire un album capace di spodestare il “Live At Fillmore East” della Allman Brothers Band dal trono del miglior disco rock dal vivo mai pubblicato, è molto remota. Se il giudizio su quell’opera sublime è sostanzialmente unanime, stilare un’ ampia classifica dei più bei live set sarebbe invece certamente arduo: il tipo di esercizio, in fondo sterile, che però non manca di appassionare i musicofili. L’occasione per tornare sull’argomento la fornisce l’uscita ufficiale di questa registrazione dei Grateful Dead (3 CD, 20 brani), che documenta un mitico concerto tenuto nella Barton Hall della Cornell University di Ithaca (NY) l’8 maggio del 1977: quasi 3 ore di musica considerate da molti come la più bella prova dal vivo in assoluto del Morto Riconoscente. Per comprendere appieno l’enormità dell’affermazione, occorrono alcune premesse: in primis, in più di 30 anni di carriera i Dead hanno eseguito più di 2.300 concerti, la maggior parte dei quali documentata ed ascoltabile legalmente in diverse forme (i membri del gruppo hanno sempre approvato ed addirittura favorito la registrazione e diffusione di bootleg – a patto che non fossero a scopo di lucro); inoltre, per la natura stessa della musica del gruppo, libera ed estemporanea (scalette improvvisate sul momento, infinite derive strumentali, ecc.) ognuna di quelle gigs differisce totalmente dalle altre. Viene quindi da chiedersi cosa accadde di particolarmente speciale, quella sera di maggio del 1977, alla Cornell University. Sicuramente la forma dei singoli componenti era smagliante, la telepatia un concetto plausibile: la sezione ritmica lavora alla grande dall’inizio alla fine, senza alcuna traccia di quelle défaillaces che – volenti o nolenti – hanno contribuito ad assegnare alla band, nel giudizio generale, l’etichetta di scarso professionismo. Idem per le voci, pressoché impeccabili prese sia singolarmente che nelle complesse armonie: persino Donna Jean Godchaux, la vocalist aggiunta alla band a seguito del marito pianista Keith – spesso contestata dai fan della prima ora – sembra qui trovare finalmente la sua dimensione. Su tutto spicca la chitarra di Jerry Garcia, al suo massimo splendore: di volta in volta evocativa, criptica, nervosa, spaziale e rurale allo stesso tempo. Il repertorio è infine veramente rappresentativo dell’ecletticità del gruppo: sono presenti gli esercizi country & western preferiti da Bob Weir (“El Paso”, “Mama Tried”), le struggenti ballate (“Row Jimmy”, una lancinante ripresa di “Morning Dew”), le testimonianze dell’amore di Garcia per la musica caraibica che cominciava a fare capolino in quel periodo (il reggae appena accennato della deliziosa “They Love Each Other”, il proto-dub di “Estimated Prophet”), le cavalcate psichedeliche (“Not Fade Away”). Insomma, siamo quasi alla perfezione. Se però c’è qualcosa che impedisce a “Cornell 5/8/77” di assurgere a piena gloria, è forse l’assenza di quei personalissimi viaggi nella cosiddetta “zona”, quei momenti (che potevano durare ore) in cui ognuno dei componenti si lanciava in improvvisazioni individuali ed insieme collettive; avventure sonore spesso rischiose, ma che negli occasionali esiti felici rese i Grateful Dead realmente inimitabili. Ecco, a parte qualche episodio (la bellissima transizione che unisce “Scarlet Begonians” a “Fire On The Mountain”, la sopra citata “Morning Dew”), la maggior parte delle escursioni si risolve nelle evoluzioni chitarristiche del leader poggiate su una base ritmica fedelmente mantenuta nei propri canoni. Dal momento che una musica vale più di mille parole, proponiamo un esempio esplicativo: il lettore paziente si vada a recuperare la versione di “Dancing In The Street” (proprio quella di Martha Reeves & The Vandellas) eseguita esattamente sette anni prima, il 6 maggio del 1970 al Kresge Plaza (anche questa facilmente reperibile in rete): una versione sgangherata, a tratti stonata, eppure decisamente più vibrante e creativa di quella un po’ manierista contenuta in questo pur fantastico “Cornell 5/8/77”.

Pietro Rubino

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