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The state I'm in

Tobias Hug, la voce di basso come filosofia artistica

9 febbraio 2020 by Michele Manzotti in The state I'm in

foto (c) Ben Hopper

A un mese dalla scomparsa del basso Tobias Hug (1 gennaio 1976 – 9 gennaio 2020) ci interessa percorrere il suo percorso all’interno degli Swingle Singers, oggi The Swingles, durato dal 2001 al 2012. La sua vicenda artistica è ovviamente più ampia, prima e dopo questo periodo. Ma è indubbio che la stessa ha condizionato sia quella personale, sia l’altra, ovvero quella di una formazione che al suo attivo ha cinque Grammy Awards in bacheca e la cui ricchezza sonora si è mossa dal jazz delle origini alla classica e al pop. Tobias Hug ha attraversato gli anni Zero di questa avventura che si avvia a spegnere 60 candeline. In questi casi la discografia è una testimonianza importante. E inizia con Mood Swings, album che a suo modo vede il ritorno degli Swingle ad alcune delle origini stilistiche jazz. uno dei dischi più ambiziosi per il repertorio della formazione. Basti sottolineare la traccia iniziale e quella conclusiva: l’esordio è affidato a So What di Miles Davis, tratto dal disco-pietra miliare del jazz Kind of Blue del 1959, mentre il finale è la celeberrima Soul Bossa Nova di Quincy Jones. So What vede il neo basso Hug affrontare vocalmente il contrabbasso di Paul Chambers, ma anche la stessa tromba di Miles nell’assolo centrale. Così come a lui è affidato un altro assolo, quello del flauto di Soul Bossa Nova. Un segno che la sua duttilità era straordinaria. “Tobias era stato scelto – ci ha detto Richard Eteson, tenore nella formazione dal 2000 al 2010 – per la sua voce da “walking bass”. Però non è stato solo quello, tanto da aver portato il beatbox nella nostra musica”.

Tobias Hug terzo da destra nella formazione Swingle Singers 2005-2007

Infatti Tobias Hug, nato in Germania (Friburgo in Bresgovia), viveva in un quartiere londinese in grande fermento, quale quello di Hackney, Una zona un tempo degradata e pericolosa, ma la cui multietnicità in quegli anni aveva dato vita a una scena musicale stimolante. Poco prima dell’abbandono di Tom Bullard a Tobias viene affidata una buona parte della direzione artistica della formazione, Nel 2007 esce un album rivoluzionario per il gruppo, The Beauty and the Beatbox. Il caso ha voluto inoltre che si trattasse di un disco con distribuzione fisica in Europa grazie all’etichetta Signum. Il giorno del lancio del disco, nel settembre 2007 al Bloomsbury Theatre di Londra, Hug fu protagonista di una rivoluzione. Una formazione che negli anni passati era salita sul palco del Newport Jazz Festival o del Teatro alla Scala, era affiancata da una crew di Mc e beatboxers. Tra questi Shlomo, che si distingue nel colorare a suo modo The Fifth of Beethoven (vi ricordate la versione disco degli anni ’70 di Walter Murphy? è quella) e la Badinerie di Bach ribattezzata Bachbeat. L’uso di questi nuovi suoni diventa forse più evidente quando sono inseriti sopra un brano classico come Dido’s Lament (dal Dido and Aeneas di Henry Purcell) in cui Hug interpreta scratch e campionamenti. In pratica cambia il ruolo del basso profondo nel gruppo, grazie al modo in cui lui ha saputo intercettare i tempi: dalle retrovie vocali a primus inter pares, gestendo anche a fine 2011 il passaggio e la scommessa della formazione a sette dopo quasi 50 anni dalla nascita del gruppo.

Tobias Hug secondo da destra nella formazione Swingle Singers 2008-2010

Poi c’è il fattore umano della scomparsa di Hug che ha coinvolto una vasta comunità mondiale di cantanti, musicisti, semplici appassionati, oltre che conoscenti e amici, Curioso, intraprendente, cittadino del mondo, quanto più lontano dallo stereotipo del tedesco. Per la fine dei suoi giorni ha comunque scelto di tornare a casa, nella Foresta Nera, nel cercare in una vita più sana di sfuggire a un male che lo aveva aggredito. Lo piangono in molti e lo piangiamo anche noi che lo abbiamo conosciuto e frequentato. Ci mancherà molto la sua voce inconfondibile che adesso risuona altrove.

Michele Manzotti

Tobias Hug e Michele Manzotti, Londra, gennaio 2015

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