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XXXII Rencontres des Chants Polyphoniques de Calvi

19 settembre 2020 by Michele Manzotti in Special

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U Svegliu Calvese au fils des jours

Foto (c) Silvio Siciliano

Martedì 15 settembre, Cattedrale

La programmazione del primo giorno della rassegna còrsa ha visto il gruppo Piadas proporre in Cattedrale un repertorio basato sull’occitano, lingua parlata nel sud della Francia oltre che in aree di Spagna e Italia. La formazione vocale di Marsiglia, il cui nome significa tracce, sotto la direzione artistica del cantante Manu Théron ha proposto una prassi musicale che viene dalla tradizione popolare: una voce propone una melodia che viene ripresa e sviluppata dalle altre quattro. Con alcune eccezioni, non c’è musica scritta con la conseguenza di un’esecuzione molto impegnativa, ma sicuramente affascinante. L’occitano di oggi è figlio della lingua d’oc dei trovatori e, grazie a due dei componenti specializzati in musi.ca antica, l’atmosfera medievale è ben presente. Così come lo è quella novecentesca nella formazione di suoni   che vanno oltre il sistema tonale. Il lavoro di Piadas è basato sulle poesie di Roland Pécout, nato nel 1949 e artefice del recupero della cultura occitana, legandosi anche ai poeti della Beat Generation e ad altri suoi contemporanei. Io spettacolo dei Piadas, dal titolo Sulle tracce dei giganti della poesia ha proposto anche brani su liriche di Pier Paolo Pasolini e Allen Ginsberg, mostrando l’universalità del tema scelto dal gruppo: l’invito al viaggio come mezzo di conoscenza.

Il concerto serale ha visto il consueto prologo dei padroni di casa del gruppo vocale còrso A Filetta, prima del progetto Le Cri du Caire (il grido del Cairo) del duo formato dall’egiziano Abdullah Miniawy e del sassofonista inglese Peter Corser. Il primo, portavoce della cultura della gioventù egiziana (e per questo lontano dal suo paese), è un cantante che pesca dalla tradizione per sviluppare un linguaggio dove rock, jazz, lingua parlata, attitudine punk si mescolano per dare forza ai testi in lingua araba. Il tenorista Corset è un partner ideale: ha l’approccio alla spiritualità del suono seguendo le orme della lezione di John Coltrane, mentre come suono è più vicino a uno stile alla Paul Desmond per il flusso continuo di note, ottenuto a volte con l’ausilio del pedale di risonanza. Il grido del Cairo è così fatto di creazioni e improvvisazioni che tengono viva l’attenzione di chi ascolta. L’esecuzione, culminata con un brano eseguito insieme a A Filetta, ha visto un crescendo di sensazioni che hanno dimostrato come l’arabo sia una lingua di grande dignità artistica.

Mercoledì 16 settembre, Oratorio S.Antonio e Cattedrale

Les Dames de la Joliette riunisce cinque musiciste che hanno come punto di riferimento la tradizione musicale e poetica delle sponde del Mediterraneo. una bella riserva di emozioni e sensazioni coniugata al femminile. I testi  sono stati affidati al compositore Gil Anorte Paz che ha messo in musica le parole di poetesse non solo europee ma anche sudamericane. Il gruppo vocale si basa anche sugli strumenti come pianoforte, chitarra, e soprattutto le percussioni che si pongono come spina dorsale della proposta. Molto ritmo quindi che sorregge le armonie vocali, più che polifonie vere e proprie. una scelta che premia per la forza interpretativa delle cinque musicista. Tanti i momenti interessanti tra cui un brano spagnolo che descrive il lavoro delle panificatrici a Oviedo con un tavolo utilizzato come percussione dalla cinque protagoniste.

Troviamo corretto che una manifestazione come quella calvese dia spazio alle giovani realtà còrse. Il progetto A Pasqualina, dedicato alla figura di Pasquale Paoli, vede sei musicisti che si sono incontrati all’università di Corte  e che hanno deciso di raccontare con i loro brani storia e attualità nella lingua dell’isola. La scelta di brani originali è apprezzabile (canzoni in stile folk fanno parte di tutte le culture), ma consigliamo di bilanciare l’equilibrio tra voce e strumenti  a favore della prima. Il testo ne acquisirà una valenza maggiore, senza un suono che rischi di virare verso atmosfere pop.

Il concerto serale vedeva protagonisti i padroni di casa de A Filetta. Insieme a loro l’Ensemble Constantinople, di base in Canada, che già avevamo ascoltato nel 2019 anche se con una formazione diversa per metà. Quest’anno, a salire sul palco insieme al leader Kiya Tabassian (voce e sétar) e al percussionista Patrick Graham, due musiciste d’eccellenza la violista e violinista Tanya Lapperière e Didem Basar al Kanun, una cetra. Prima di ogni concerto del genere, con due realtà importanti dal punto di vista musicale, si può correre il rischio di una fusione a freddo con risultati poco felici. Invece l’incontro tra musica persiana e còrsa (ma non solo, anche di quella medioevale e rinascimentale) si è rivelato perfetto grazie a un lungo lavoro di preparazione. Il progetto Clair-Obscur doveva debuttare in Canada lo scorso giugno, spettacolo poi annullato per l’emergenza sanitaria. L’esordio nella cattedrale di Calvi era dunque molto atteso per un’esperienza d’ascolto nel segno del confronto tra culture. I suoni degli strumenti si sono amalgamati con le voci che vanno oltre la tradizione del canto còrso affrontando miti e storie contemporanee. Tra i momenti più emozionanti una Follia affidata alle voci e alla viola d’amore riproponendo in modo affascinante uno degli standard più noti della musica rinascimentale

Giovedì 17 settembre, Cattedrale

Meno male che la Puglia musicale, parlando di folk, non è solo pizziche e tarante a favore di un ascolto basato unicamente sul piacere ritmico  Va dato merito ai componenti del progetto Suddissimo che provengono dal sud della regione di aver recuperato un gigante delle aree pugliesi settentrionali. Quel Matteo Salvatore che, dopo essere stato attivista per il riscatto della sua terra, è diventato autore e cantante che ha portato a conoscere il sud nella sua anima popolare piuttosto che popolaresca. lo ha fatto con brani che raccontano storie di lavoro, sfruttamento, emigrazione descrivendo al tempo stesso anche i sentimenti. il gruppo vedeva due anime, quella rappresenta dalla tradizione di Roberto ed Emanuele Lucci (rispettivamente padre e figlio, il quale suona in modo magistrale la tzoura) e quella dei più giovani Enza Pagliara e Dario Muci, con la ritmica affidata a Angelo Urso e Franco Nuzzo. La proposta si è svolta in un contesto dove il pubblico inevitabilmente attende le danze in tempo ternario. Una concessione fatta in tre occasioni, ma per tutto il concerto l’anima autentica di Salvatore è stata rispettata, grazie a un’interpretazione comunque molto personale, e apprezzata dal pubblico. Ai branu si e aggiunta la voce recitante in francese di Lauriane Goyet,  presenza abituale della famiglia de U Svegliu Calvese, ma in questo caso nella veste di scrittrice.

La terza giornata si conclude  con l’Ensemble femminile belga La Noeva, sei cantanti che hanno presentato il Llibre Vermell di Montserrat, una delle raccolte più note della musica medievale. Distribuite equamente tra soprani e mezzosoprani/contralti e vestite con costumi d’epoca, le musiciste di Noeva hanno presentato uno spettacolo dinamico, cantando in continuo movimento. L’ispirazione è quella delle miniature e dei quadri medievali dove compaiono scene danzanti e bozzetti di vita quotidiana. Il Llibre ha canti di contenuto sacro, con una particolare descrizione della Vergine Maria come modello femminile, ma non dimentica la quotidianità che si stupisce della natura legata al misticismo: l’esempio più significativo è l’ interpretazione di Stella Splendens con movimenti coreografici affascinanti. Ai brani medievali La Noeva ha affiancato pezzi contemporanei che come quelli antichi non hanno un linguaggio legato alla scala temperata (seppure grazie a un percorso inverso dal punto di vista storico musicale). Il concerto si è concluso infatti con la composizione della cantante del gruppo Penelope Turner, ispirata alla figura di Hildegard Von Bingen Successo straordinario nonostante il repertorio non facile al primo ascolto.

Intervista a Jean Claude Acquaviva (A Filetta) su Clair-Obscur

Quale tipo di repertorio avete scelto per il progetto?

In questo incontro con l’Ensemble sia noi sia loro abbiamo lavorato inizialmente ciascuno sui propri brani, che poi sono stati arrangiati in vista dello spettacolo. Sono nati così quattordici pezzi: cinque di essi sono stati scritti in partitura, mentre per altri siamo partiti dalle nostre polifonie a cui è stata aggiunta una parte strumentale. Poi ci sono state musiche composte durate il lavoro che abbiamo fatto insieme qui a Calvi e che è durato quattro giorni.

L’idea come è nata?

Il progetto è partito due anni fa; ci aveva contattato Kiya Tabassian. Noi conoscevamo il suo lavoro e lui il nostro. ha espresso la volontà di fare qualcosa e subito abbiamo riflettuto su cosa. E’ venuto la prima volta lui personalmente e poi la formazione è giunta qui a febbraio per una residenza artistica, interrotta purtroppo per un problema di uno dei componenti. Quindi due giorni in totale a cui si sono aggiunti quelli precedenti al concerto dei Rencontres.

L’Ensemble Constantinople ha base in Canada. Vi esibirete insieme anche là?

In Canada avevamo un tour nel mese di giugno scorso che è stato cancellato. Lo spettacolo era stato programmato anche in due festival estivi in Francia fine luglio, rassegne annullate a loro volta. Speriamo di poterlo allestire la prossima estate in Francia e in autunno con alcune date in Canada.

Come descriverebbe il risultato di Clair-Obscur?

È un lavoro interessante: noi rappresentiamo una tradizione e un luogo preciso. Così come l’Ensemble Constantinoples, abbiamo fatto tante collaborazioni e aperture verso altri mondi musicali che ci hanno permesso di realizzare progetti che non si limitano a una sera, ma rappresentano un lavoro preciso di scrittura che evidenzia i caratteri comuni dei nostri linguaggi. È una strada che mescola musica antica, tradizionale, ma anche di oggi. C’è stata così l’opportunità di creare pagine musicali dove c’è comunicazione e incontro, una prassi più complicata da affrontare da parte di chi si limita alla tradizione.

Michele Manzotti

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