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Interviste

Enrico Deregibus: “Io e De Gregori”

25 marzo 2021 by pdb in Interviste

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Foto fornite dall’intervistato

Quanto crediamo di sapere di una musica, una poesia, una canzone, un libro? Sappiamo quello che sentiamo e leggiamo, poi interpretiamo, intuiamo, elaboriamo, facciamo nostro, magari capendo a pieno le intenzioni dell’autore, ma molto più spesso travisandole. L’autore scrive e rende pubblica la sua opera, poi in qualche modo non è più sua. Così ci servono i libri, come quelli pubblicati da Enrico Deregibus, per capire meglio cosa si nasconde dietro una composizione. Nel caso specifico alla produzione di Francesco De Gregori, di cui Deregibus è uno dei più rinomati esperti, avendo pubblicato negli anni molti libri sul cantautore romano. Gli ultimi due sono “Mi puoi leggere fino a tardi” e “Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni”.

Chi è Enrico Deregibus? Critico musicale, scrittore, appassionato di musica?

«Domandona, anche perché su questi termini c’è spesso confusione. Posso dirti che certamente non sono critico musicale, anche se forse inevitabilmente vengo spesso presentato con questo appellativo o addirittura con quello di musicologo. Ma non sono nessuna delle due cose. Non lo sono perché il mio approccio è molto differente e perché fra l’altro non ho le basi teoriche né dal punto di vista musicale né dal punto di vista letterario per essere un critico, tanto meno un musicologo. Quanto al termine scrittore, da ragazzo di provincia come sono devo dire che mi imbarazza un po’, però visto che scrivo libri direi che tecnicamente lo sono. Diciamo però che mi ritengo fondamentalmente un giornalista, per quanto non sia iscritto all’albo. Un giornalista che ha provato anche a fare lo storico dilettante, soprattutto per i libri su De Gregori. Appassionato di musica ovviamente lo sono, ma ormai da quasi trent’anni la musica è il mio lavoro. Negli anni novanta ho gestito per sette anni un negozio di dischi facendo il giornalista come secondo lavoro. Poi dal 2000 questo è diventato il primo lavoro, affiancato e poi in buona parte sostituito da quello che poi è il mestiere che mi dà a vivere, cioè l’organizzatore di festival e rassegne come direttore o consulente artistico o ufficio stampa».

Quale è l’obiettivo del libro?

«Premetto che il libro è la prosecuzione di un volume uscito qualche anno fa, “Mi puoi leggere fino a tardi”, che era la biografia di De Gregori, il racconto anno per anno del suo percorso, che era a sua volta l’aggiornamento e ampliamento di un primo libro che avevo fatto su di lui nel 2003. L’obiettivo di questo nuovo libro è raccontare questo grande patrimonio di canzoni, grande un po’ perché sono più di 200 titoli e un po’ perché sono convinto che l’apporto che De Gregori ha dato alla canzone italiana sia veramente fondamentale, perché ha cambiato o perlomeno contribuito a cambiare il modo di scrivere canzoni in Italia, sulla scorta di quello che già succedeva nel mondo musicale anglosassone o in altre arti come la letteratura, il cinema o la pittura. Per semplificare direi che è un modo più libero di scrivere, uscendo da binari consolidati. E, in senso più stretto, il mio obbiettivo era quello di radiografare le canzoni da molti punti di vista, quello testuale, quello musicale, quello storico e sociologico, senza disdegnare, anzi abbondando il più possibile, con l’aneddotica. Questo ha portato a un libro di dimensioni decisamente insolite nel panorama editoriale italiano per i libri musicali».

Nell’introduzione racconta come è riuscito a coinvolgere De Gregori nella stesura del libro… 

«Inizialmente gli ho chiesto se voleva in qualche modo collaborare al libro, magari anche soltanto vedendo le schede prima della pubblicazione ma mi ha risposto, come anche per i libri precedenti, che preferiva che io fossi libero di scrivere quel che volevo Poco tempo dopo però lui mi ha proposto di inserire i testi delle canzoni nel libro. Questo per ovviare a un problema: spesso nei testi che si trovano on line ci sono grandi refusi. Quindi voleva avere un luogo cartaceo dove inserirli, controllandoli e certificandoli in prima persona. A quel punto inevitabilmente gli ho girato le mie schede da vedere, ma mi ha segnalato pochissimi errori. In realtà credo le abbia lette superficialmente, tenendo fede a quello che mi ha detto. La lettura vera l’ha fatta quando il libro è uscito. Poi devo dire che lui è sempre molto attento e generoso di complimenti nei miei confronti sia in pubblico che in privato».

Nello scrivere questo e il libro precedente a quali fonti ha attinto?

«Le fonti sono molte. A occhio dicevo 1000 o 1500 documenti quando mi chiedevano, ma proprio nei giorni scorsi ho aperto la cartella sul mio computer dedicata appunto a tutte le fonti e ho scoperto che erano più di 2000. Ci sono quotidiani e periodici raccolti negli anni in vario modo, a cominciare da quando ero ragazzino e mi sono appassionato di cantautori ma allo stesso tempo anche di giornalismo e quindi raccoglievo e ritagliavo interviste, articoli e recensioni e mettevo da parte. Poi ovviamente da quando ho iniziato a lavorare su di lui per fare dei libri la ricerca è diventata molto più capillare e di vario tipo, dagli archivi dei giornali alle cose trovate nelle fiere specializzate. In particolare ho cercato le interviste che De Gregori ha fatto negli anni e sono riuscito a risalire a diverse centinaia fatte da dall’inizio anni ‘70 sino ad oggi. Poi ci sono una serie di interviste che ho fatto io a personaggi che hanno incrociato il loro cammino con quello di De Gregori. Da Antonello Venditti a Fiorella Mannoia, da Mimmo Locasciulli a Guido Guglielminetti che è il suo braccio destro musicale, a grandi personaggi della discografia italiana come Ennio Melis e Lilli Greco. Poi ovviamente c’è la rete ma lì bisogna stare molto attenti perché tutto quello che si trova online va controllato accuratamente per evitare di cadere in tranelli di vario tipo. Ad esempio online si trova su molti siti la storia che Generale è stata scritta da De Gregori durante il servizio militare in Trentino e parla di terrorismo. Non è così. È una bufala di notevoli dimensioni nata chissà come e perché».

Quale è stata la canzone o l’episodio che le ha fatto penare di più nella ricerca delle informazioni per questi libri?

«Beh, non mi viene in mente una canzone specifica che mi ha fatto penare in modo particolare, ma sicuramente le canzoni meno conosciute dei primi dischi, quelle precedenti a Rimmel per intenderci, sono state più difficili perché sono canzoni di cui si è parlato di meno, ci sono poche interviste di De Gregori dell’epoca e ci sono anche meno testimonianze, meno analisi, quindi sicuramente lì c’è stato bisogno di più lavoro per risalire a informazioni precise e attendibili. Ma mi ha fatto penare di più il lavoro su alcune parti della biografia, del libro precedente a questo, perché su molti episodi ho dovuto indagare parecchio per capire come erano realmente andati. Alla fine sono riuscito, a volte dopo anni, a mettere assieme quasi tutti i tasselli, ma c’è una cosa su cui non sono riuscito a trovare abbastanza informazioni ed è un tour che hanno fatto insieme Venditti, De Gregori e Riccardo Cocciante. Si chiamava “Racconto”, una serie di concerti fatti insieme nel 1973 su cui ci sono pochissime testimonianze. Posso raccontare come aneddoto il fatto che una volta ho intervistato Antonello Venditti alla presenza dell’ufficio stampa storico di Venditti ma anche di De Gregori, Michele Mondella, che purtroppo è scomparso pochi anni fa. Ho fatto loro delle domande rispetto a questo tour e buona parte delle cose che si ricordava uno non se le ricordava l’altro oppure addirittura le negava. Sono arrivati quasi a litigare, un litigio ovviamente molto amichevole, fra due che si conoscono da decenni. È un episodio che ricordo con affetto anche perché appunto Michele non c’è più».

È noto che De Gregori abbia sempre coltivato una passione per la canzone popolare italiana. Se non ricordiamo male ha frequentato Caterina Bueno, Giovanna Daffini, e certamente Giovanna Marini e forse anche altri che ci sfuggono; quanto ha saputo portare nella sua produzione dei loro insegnamenti? 

«Sì, dici bene, la canzone popolare italiana ha certamente influito sul modo di scrivere canzoni di De Gregori, che sin da ragazzo al Folkstudio di Roma le ascoltava, cantate da molti dei protagonisti del canto popolare italiano. Queste canzoni in qualche modo lavoravano dentro di lui. Pensa che addirittura lui all’inizio, visto che non era sicurissimo del valore delle sue prime canzoni, quando si esibiva al Folkstudio le cantava sua volta, alternandole ad alcune sue e ad alcune di Bob Dylan o Leonard Cohen. Questo suo grande amore per le nostre radici poi viene fuori in alcune sue canzoni in modo evidentissimo, con addirittura a volte citazioni ben precise. Penso a “Piccola mela”, “Terra e acqua”, varie cose di “Titanic” e tanto altro. In altre sue canzoni l’influsso è più sotterraneo, ma è presente in tutti i suoi dischi. Anni fa addirittura aveva avuto l’idea di fare un album di brani nuovi ma che riprendessero ognuno uno o più brani della tradizione popolare. Chissà mai che prima poi non riprenda in mano quel progetto».

Di Dylan e Cohen sappiamo, ma da questo voluminoso libro escono altre influenze meno note nella produzione di De Gregori?

«Beh, certamente ce ne sono altre, anche se meno evidenti. I Beatles ma anche Simon & Garfunkel o James Taylor. Anche Elton John in alcuni pezzi o anche vari cantautori americani meno noti come John Prine. E poi gli italiani. De Gregori ha iniziato a scrivere canzoni sull’esempio di Fabrizio De André ma le sue influenze sono anche altre. Con Lucio Dalla c’è stato sicuramente uno scambio di stimoli e suggestioni, tant’è che i dischi della fine degli anni Settanta di entrambi hanno molte assonanze, hanno qualcosa del collega o nel testo nelle musiche. Ma anche Lucio Battisti qua e là fa capolino nei pezzi di De Gregori. Lui poi a sua volta ha influenzato molto tanti altri, a partire dalla stesso De André, ma anche Fossati o molti delle ultime generazioni, da Vasco Brondi a Fulminacci».

Come ben fa notare nell’introduzione, in un libro del genere, dove vengono riportate i testi delle canzoni, manca la componente musicale, su cui lei si sofferma molto nelle schede. Quanto è stata importante nella sua carriera? E come si è evoluta?

«Quando si parla di De Gregori spesso si parla delle parole delle sue canzoni, meno spesso si parla delle musiche. Secondo me è un grande errore, un po’ perché in De Gregori testo e musica sono molto compenetrati e un po’ perché lui è anche un ottimo compositore e lo testimoniano molte sue canzoni. Sicuramente la musica è stata importante per la sua carriera quanto i testi altrimenti non sarebbe diventato quello che è. C’è stata indubbiamente un’evoluzione, un allargamento in due direzioni opposte dalla fine degli anni ‘70. Da una parte alla melodia italiana più classica, in cui però non cade mai dentro completamente. Dall’altra ha ampliato la sua tavolozza musicale anche in senso opposto, verso il rock, dalla fine degli anni ‘80. Ed il rock ha preso sempre più spazio nella sua musica fino ad arrivare un disco come “Pezzi” del 2005 che secondo me è anche uno dei suoi più bei dischi in assoluto. Nelle schede sulle canzoni ho voluto dare molto spazio alla musica».

Dopo tutte queste analisi sulla produzione di De Gregori, quanto di biografico c’è nelle sue canzoni?

«Questa è una domanda difficile. Da un certo punto di vista in tutte le sue canzoni c’è qualcosa di autobiografico, così come nelle canzoni che parlano di cose che gli sono successi in prima persona sicuramente ci sono anche dei grossi spazi per altro, ad esempio per la sua proverbiale visionarietà. Penso che sia difficile tracciare un confine preciso. Prendi una canzone molto conosciuta come “Pezzi di vetro”: nasce da uno spunto personale anche molto banale, molto semplice, lui che a Roma è per strada con la sua fidanzata dell’epoca, si fermano a vedere un artista di strada. De Gregori capisce che lei è attratta da lui, ha un moto di gelosia che poi si trasforma e dà origine a un racconto che va a finire chissà dove. Questa penso che sia una testimonianza molto bella di cosa voglia dire mescolare uno spunto autobiografico alla forza della creatività. E questo che dà senso all’arte probabilmente».

Le tre canzoni a cui lei è più legato?

«Una è sicuramente “Caterina”, che sta in “Titanic”, un disco che io amo molto, uscito quando avevo 15 anni e che ho all’epoca ascoltato centinaia di volte. È una canzone molto bella, delicata, che parla della Caterina Bueno di cui dicevamo prima. Un’altra canzone che mi piaceva molto è “La storia”, soprattutto nella prima versione, quella del 1985, una versione spoglia, fatta pianoforte e voce e nient’altro. Io trovo che sia di un’intensità fortissima, mi piaceva molto. Poi devo dire tutte le versioni successive, nonostante ce ne siano anche di molto belle, non sono mai riuscito a trovare quella intensità. Col tempo poi la canzone ha iniziato un po’ ad annoiarmi come mi succede magari con le canzoni che vengono proposte tante volte dal loro autore. Resta comunque una grande canzone. Fra l’altro una cosa che non si sa o si da poco è che è una sorta di risposta a una cosa che va scritto Eugenio Montale sulla storia. Come terza canzone posso dirti “Falso movimento”, che è la canzone che chiude l’ultimo suo disco di inediti, “Sulla strada”. Una canzone secondo me deliziosa, che mi ha sempre colpito molto e non a caso per il titolo della biografia su De Gregori ho scelto proprio una frase da questa canzone, la frase che la chiude che è appunto “Mi puoi leggere fino a tardi”».

La stesura di questo libro ha cambiato la sua visione prospettica della produzione di De Gregori?

«Non in modo particolare. Mi è successo di più con il libro precedente, la biografia. Mettere insieme in ordine cronologico tutto quello che gli è successo sicuramente me l’ha fatto comprendere di più, ho visto meglio le pagine chiare e quelle scure, per citarlo a sproposito. Il libro sulle canzoni mi ha fatto capire, anche se la cosa in parte mi era già chiara, quanto la sua capacità di scrittura sia rimasta sempre molto molto alta. Lo testimonia il suo ultimo disco di cui dicevo prima, “Sulla strada”, che è pieno zeppo di grandi canzoni ed ha una freschezza invidiabile per uno che aveva già scritto più di 200 canzoni. Questo lo dico ben consapevole che una parte consistente degli ascoltatori di De Gregori ama soprattutto i suoi dischi degli anni ‘70 e ‘80. Ma li invito a riascoltarsi un po’ di volte anche gli ultimi, vale davvero la pena».

Riccardo Santangelo

 

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