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Recensioni

Richard Thompson, Festival Strade Blu, Faenza, 19 giugno 2016

21 giugno 2016 by Michele Manzotti in Concerti, Recensioni

www.richardthompson-music.com
www.stradeblu.org

Bastano chitarra e voce per capire il valore di un musicista. L’ultima volta che Il popolo del Blues aveva ascoltato Richard Thompson era stato in occasione del tour di Light in The Attic, alla Royal Festival Hall di Londra nel gennaio 2011. Con lui c’era una band straordinaria, fra cui il compianto Pete Zorn al sax. Ma anche in versione solista Thompson riesce a far capire la differenza tra un grande musicista (e nell’aggettivo ci sta tutto: tecnica, interpretazione, ispirazione) e tutti gli altri. A 67 anni la sua voce baritonale è ancora sicura, a suo agio nei toni medio-bassi, melodica e al tempo stesso squillante senza forzature. Per quanto riguarda la chitarra, Thompson la usa come ritmica e solista, arricchendo la sonorità dei brani, suonando sempre le note necessarie al brano. Tre date italiane del tour acustico hanno mostrato quindi una forza della natura che dalla fin dei Sessanta ha percorso la storia della musica a testa alta. La tappa di Faenza, che ha inaugurato il festival Strade Blu al Museo delle ceramiche, ha toccato molti momenti di questa storia personale e collettiva. A partire dai Fairport Convention, con Who Knows Where The Time Goes? dedicata a Sandy Denny e Dave Swarbick, all’esperienza con la prima moglie Linda (I Want To See The Bright Light Tonight) fino ai vari album solisti. Che tra l’altro Thompson sforna con regolarità e sempre ad alti livelli in un momento non semplice per la discografia. Anche le ultime canzoni Beatnik Walking, Broken Doll, Good Things Happen to Bad People, dimostrano quanto la penna trovi ancora grandi momenti. La base folk, genere omaggiato con la giga Banish Misfortune e la canzone dei marinai Jolly Far Away, convive con un cantautorato che prende il meglio dalle atmosfere di Inghilterra e Stati Uniti, dove Thompson vive da tempo. Dall’iniziale Stony Ground al rock’n'roll di Valerie, si è avuto l’impressione di un concerto che era anche una lezione di come si possa fare musica, concreta e di classe immensa.

Michele Manzotti

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