il popolodelblues

News

A Bob Dylan il Premio Nobel 2016 per la letteratura

13 ottobre 2016 by pdb in News

Dall’agenzia Ansa

Bob Dylan è il vincitore del Nobel per la Letteratura 2016 «per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana». Lo spiega la motivazione ufficiale.

Bob Dylan, alias Robert Allen Zimmerman, premiato oggi con il Nobel per la Letteratura, è forse il più enigmatico tra i geni della musica popolare. Nessuno come lui si è accanito contro il suo mito, divertendosi a spiazzare pubblico e critica con scelte sorprendenti che vanno dalla svolta elettrica degli anni ’60 alla conversione al credo dei Cristiani rinati fino al recente approdo agli spot pubblicitari, Victoriàs Secret compreso (ma per gli investitori rappresenta un testimonial formidabile). Per non parlare del rapporto che ha con il suo repertorio, che rende spesso indecifrabile al pubblico dei suoi concerti. Menestrello di Duluth, 24 maggio 1941, è un gigante della cultura degli ultimi 50 anni: come ha detto Bruce Springsteen nel discorso con cui nel gennaio 1988 ha introdotto la sua inclusione nella Rock and Roll Hall of Fame: «Bob ha liberato le nostre menti nello stesso modo in cui Elvis ha liberato il nostro corpo. Ci ha dimostrato che il fatto che questa musica abbia una natura essenzialmente fisica non significa che sia contro l’intelletto». Da questo punto di vista il suo contributo è addirittura difficile da definire: con i dischi incisi negli anni ’60 all’inizio della sua carriera, ha aperto alla musica popolare le porte della grande letteratura, creando un modello (il cantautore) e un mito contro cui ha lottato tutta la vita. Il fatto è che proprio le sue canzoni più celebri di quel periodo, così immerse nella tradizione popolare americana e al tempo stesso assolutamente anti retoriche nella loro essenza, hanno rappresentato, e ancora rappresentano, la sintesi perfetta dello spirito di quel tempo, diviso tra le aspirazioni a un mondo migliore, il rifiuto della guerra, la ricerca di un’identità per i giovani, da poco diventati effettivamente una nuova categoria sociologica. Ma da The Frewheelin’ Bob Dylan, Blonde on Blonde, The Times They Are a Changin’ e Highway 61 Revisited sono passati quasi 50 anni e Dylan, che ha sempre ostinatamente rifiutato il ruolo del profeta, li ha trascorsi tra alti e bassi, svolte improvvise e iniziative sorprendenti, ostentando un’olimpica indifferenza a quello che succede attorno alla sua musica. Dalla metà degli anni ’80 si è imbarcato nell’ormai celebre Never Ending Tour (il tour senza fine), suonando, sempre con la stessa band, più di 100 date all’anno: i concerti ormai sono sempre più sgangherati, prevedibili nel rifiuto della ritualità del live show e nella storpiatura dei pezzi. Non c’è evento che possa cambiarne la natura: possa essere un’esibizione di fronte a papa Wojtyla e a 300 mila persone o, di recente, i suoi concerti in Cina o a Saigon. Inutilmente i media hanno sperato di sentire da lui parole contro la censura praticata dal governo di Pechino o qualche allusione alla guerra del Vietnam. Ma così come ha fatto tante volte, Dylan è riuscito a sorprendere tutti: dopo più di 30 anni, i suoi album più recenti, Modern Times e Together Through Life sono tornati in classifica e a mettere d’accordo la critica, cosa che non succedeva dalla fine degli anni ’80 con il bellissimo Oh Mercy. Nel frattempo ha pubblicato una raccolta di canzoni natalizie e, rompendo il suo proverbiale isolamento, ha condotto uno strepitoso programma radiofonico infarcito di raffinate selezioni musicali e divertenti interventi parlati. Un enigma che ora compie 70 anni: vien da pensare che ha fatto bene il regista Todd Haynes a usare sei personaggi e sei attori (compresa Cate Blanchett) per raccontare Bob Dylan nel film Io non sono qui.

Paolo Biamonte

Tagged ,

Related Posts